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Covid 19

Anticorpo monoclonale abbatte il rischio di ricovero per COVID, anche nei pazienti fragili

L’anticorpo monoclonale LY-CoV555 sviluppato dalla casa farmaceutica americana Eli Lilly and Company riduce in modo significativo il tasso di ospedalizzazione nei pazienti contagiati dal coronavirus SARS-CoV-2. L’effetto è rilevante anche nelle fasce più a rischio, ovvero per gli anziani e chi soffre di obesità e patologie preesistenti.
A cura di Andrea Centini
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Nella lotta contro la pandemia di COVID-19, l'infezione provocata dal coronavirus SARS-CoV-2, tra le armi più promettenti in sperimentazione vi sono i cosiddetti anticorpi monoclonali, immunoglobuline semi-sintetiche progettate in laboratorio a partire dai veri anticorpi prelevati dal sangue di pazienti guariti/convalescenti. Diversi studi hanno dimostrato l'efficacia di questi farmaci all'avanguardia, e fra quelli che hanno ottenuto risultati migliori figura l’anticorpo monoclonale LY-CoV555 sviluppato dal colosso farmaceutico americano Eli Lilly and Company. L'ultimo studio ha rilevato che i pazienti trattati non solo sviluppano meno sintomi di quelli non trattati, ma presentano una significativa riduzione del tasso di ricoveri per COVID-19.

A dimostrare le promettenti capacità terapeutiche di LY-CoV555 è stato un team di ricerca americano del Cedars-Sinai Medical Center di West Hollywood (Los Angeles) guidato dal professor Peter Chen, docente di Medicina e direttore della Divisione di Medicina polmonare e di Terapia intensiva preso il nosocomio californiano. Lo studio di Fase 2 è stato condotto con tutti i criteri del caso, il cosiddetto “gold standard” della ricerca. Era infatti randomizzato con placebo e in doppio cieco, ciò significa che né i pazienti né i ricercatori sapevano chi stava assumendo il farmaco e chi il placebo, per non influenzare la bontà dei risultati.

Sono stati coinvolti in tutto 450 pazienti con COVID-19 da lieve a moderata; in 300 sono stati trattati con iniezioni di LY-CoV555 da 700, 2.800 o 7.000 milligrammi, mentre i restanti 150 hanno ricevuto il placebo. Dall'analisi dei dati è emerso che il dosaggio di intermedio (2.800 mg) è quello che ha determinato la migliore riduzione della carica virale, benché essa a 11 giorni si sia ridotta in modo significativo in tutti i pazienti, compresi quelli trattati col placebo. Tuttavia, tutti e tre i dosaggi dell'anticorpo monoclonale hanno ridotto in modo sensibile sia i tassi di ospedalizzazione che la necessità di ricorrere a trattamenti di emergenza. Basti pensare che a circa un mese dal trattamento, i tassi di ospedalizzazione erano soltanto dell'1,6 percento per chi aveva ricevuto LY-CoV555, contro il 6,3 percento del gruppo trattato col placebo.

Uno degli aspetti più importanti risiede nel fatto che la protezione è stata rilevata anche nei pazienti che rischiano le conseguenze più gravi della COVID-19, ovvero quelli con età avanzata, obesità e determinate malattie preesistenti (comorbilità). Nel caso specifico, Chen e colleghi hanno osservato in questo gruppo tassi di ospedalizzazione del 4,2 percento quando trattati con LY-CoV555, contro il 14,6 percento di quelli cui è stato somministrato il placebo. “Per me, la scoperta più significativa è stata la riduzione dei ricoveri. Gli anticorpi monoclonali come questo hanno il potenziale per ridurre la gravità della COVID-19 per molti pazienti, consentendo a più persone di riprendersi a casa”, ha dichiarato il professor Chen in un comunicato stampa. LY-CoV555 agisce legandosi alla proteina S o Spike del coronavirus, quella che il patogeno sfrutta per agganciare il recettore ACE-2 delle cellule umane, rompere la parete cellulare, riversare il materiale genetico all'interno e dar via al processo di replicazione, che è alla base dell'infezione. In questo modo ostacola la replicazione del virus e permette al sistema immunitario del paziente di attivarsi contro di esso, come specificato nel comunicato stampa. I dettagli della ricerca “SARS-CoV-2 Neutralizing Antibody LY-CoV555 in Outpatients with Covid-19” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica The New England Journal of Medicine.

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