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Covid 19

Anche il coronavirus è colpa del riscaldamento globale?

Col passare dei giorni aumentano costantemente sia il numero di contagiati che quello delle vittime provocati dal nuovo coronavirus emerso in Cina, 2019-nCoV. Ad oggi non si conosce ancora il “serbatoio” dal quale il virus ha compiuto il salto il di specie, ma fattori come il riscaldamento globale e la distruzione dell’habitat naturale potrebbero avergli reso la “vita” più facile. Ecco perché.
A cura di Andrea Centini
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Come affermato dal dottor Richard Dixon dell'organizzazione ambientalista Friends of the Earth Scotland (FoES), esistono numerosi modi in cui il riscaldamento globale catalizzato dai cambiamenti climatici può provocare disastri e uccidere persone: incendi e siccità sono tra i primi fenomeni che vengono in mente, ma c'è anche il rilascio nell'ambiente di virus e batteri intrappolati da tempo nel ghiaccio, portati alla luce dal processo di scioglimento. Non è ovviamente questo il caso del coronavirus recentemente emerso in Cina, già responsabile di centinaia di contagi e decine di morti, tuttavia fattori di natura antropica – e con essi anche il riscaldamento globale – possono sicuramente favorire la proliferazione degli agenti patogeni, rendendo loro la “vita” più agevole.

I virus, come spiegatoci dal professor Fabrizio Pregliasco, virologo dell'Università degli Studi di Milano, sono tutti parassiti assoluti, obbligati. Un virus non è nemmeno un organismo vivente propriamente detto, ma un'entità biologica che si replica solo ed esclusivamente all'interno delle cellule di altri organismi. È nella loro natura cerca costantemente nuovi ospiti da infettare, e a causa della loro rapida evoluzione possono trovare una via per colpire un nuovo organismo, o tornare ad infettarlo superando le barriere immunitarie che in precedenza impedivano l'infezione. Basti pensare ai virus dell'influenza. Perché dobbiamo vaccinarci ogni anno? La ragione è legata proprio al fatto che i virus mutano rapidamente e costantemente, e poiché i vaccini per l'influenza sono specializzati per proteggere da determinate caratteristiche del virus, quando subentrano delle modifiche diventa necessario ricorrere a un nuovo medicinale per difendersi. È una sorta di guerra continua tra guardie e ladri.

La costante evoluzione dei virus permette loro di fare il tanto temuto “salto di specie”, cioè di passare da un animale all'altro, essere umano compreso. È esattamente ciò che è avvenuto con la SARS (Severe acute respiratory syndrome), con la MERS (Middle East Respiratory Syndrome) – responsabili di centinaia di morti in Asia – e col recente 2019-nCoV, tutti e tre coronavirus del sottogruppo “betacoronavirus”. Il fatto che questo salto di specie si verifichi spesso nel Sud Est asiatico, come spiegatoci dal professor Pregliasco, è normale poiché in questi Paesi il contatto con gli animali è decisamente più costante e diffuso che da noi. Basti pensare al mercato di animali vivi della città di Wuhan, considerata l'epicentro del focolaio del nuovo coronavirus. Anche la costante distruzione degli habitat naturali – come le foreste – aumenta la vicinanza degli ambienti antropizzati con animali selvatici portatori di virus, che mutando possono trovare lo spiraglio adatto per raggiungere anche l'uomo. Se questi "serbatoi" vengono a contatto con le persone all'interno di mercati, tale rischio sale in modo esponenziale. A tal proposito, al momento non si conosce ancora il serbatoio esatto del nuovo coronavirus; benché scienziati cinesi abbiano infatti supposto un ruolo dei serpenti nella trasmissione, il virologo David Robertson dell'Università di Glasgow ha affermato sull'autorevole rivista scientifica Nature che “nulla supporta il coinvolgimento dei serpenti”, poiché virus di questo tipo sono caratteristici di mammiferi e uccelli. “È improbabile che 2019-nCoV abbia infettato qualsiasi ospite animale secondario abbastanza a lungo da alterare significativamente il suo genoma. Ci vuole molto tempo perché questo processo si svolga”, ha aggiunto lo studioso britannico.

Benché il coronavirus 2019-nCoV non sia figlio diretto del riscaldamento globale, l'aumento delle temperature potrebbe aver agevolato la sua proliferazione e facilitato le mutazioni responsabili del “salto di specie”, mentre la distruzione degli habitat naturali e lo sfruttamento degli animali nei mercati vivi avrebbero fornito l'assist decisivo al coronavirus di cogliere l'occasione di aggredire anche l'essere umano. Che i virus siano naturalmente predisposti a cercare sempre nuovi ospiti, del resto, è scientificamente acclarato, ma noi col nostro contributo “distruttivo” spianiamo loro la strada.

In determinati casi i patogeni sono trasportati da zanzare, zecche e altri organismi definiti vettori; se le temperature aumentano per effetto dei cambiamenti climatici si allarga l'areale a loro disposizione, permettendo il “travaso” di specie normalmente confinate nelle fasce tropicali e subtropicali. Non è un caso che la potenziale invasione di zanzare portatrici di malattie – come la dengue e la febbre gialla – sia contemplata tra le principali minacce del riscaldamento globale. E ovviamente la globalizzazione, i trasporti sempre più rapidi e massivi non fanno altro che acuire il rischio di tale diffusione. I cambiamenti climatici stanno facendo persino sciogliere il permafrost, portando alla luce carcasse di animali al cui interno si trovano virus e batteri scomparsi da decenni, se non secoli o addirittura millenni, che potrebbero avere un impatto catastrofico sia sull'uomo che su altri organismi.

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