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Alzheimer, ora sappiamo come le cellule eliminano la ‘spazzatura’: possibili nuove terapie

Un team di ricerca australiano ha dimostrato che l’autofagia, il meccanismo di pulizia cellulare che elimina dai tessuti cellule morte, virus, proteine e batteri, funziona in modo differente da quanto creduto in precedenza. Possibili nuove terapie per Alzheimer e altre patologie neurodegenerative legate all’accumulo di ‘spazzatura’ nei tessuti.
A cura di Andrea Centini
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Credit: Padman/Monash Micro Imaging
Credit: Padman/Monash Micro Imaging

Svelato il meccanismo alla base dell'autofagia cellulare o autofagocitosi, cioè il processo che porta le cellule a divorare la ‘spazzatura' che le circonda, come cellule morte, resti di batteri, virus e proteine. Quando questo fondamentale meccanismo biologico non funziona correttamente e i ‘detriti' si accumulano nei tessuti, possono emergere patologie neurodegenerative associate all'età come il morbo di Parkinson e il morbo di Alzheimer, ma anche cancro e altre malattie. Conoscerne i segreti potrebbe portare allo sviluppo di farmaci in grado di amplificare l'azione dell'autofagia e prevenire l'accumulo di questa spazzatura, come ad esempio le placche di beta amiloide legate al morbo di Alzheimer.

Scoperta rivoluzionaria. A scoprire come agisce effettivamente l'autofagia è stato un team di ricerca australiano guidato da scienziati del Biomedicine Discovery Institute dell'Università Monash. I ricercatori, coordinati dai professori Michael Lazarou e Benjamin Scott Padman, docenti presso il Dipartimento di Biochimica e Biologia Molecolare dell'ateneo di Melbourne, hanno concentrato i propri studi sui “recettori dell'autofagia”. In parole semplici, il modo in cui le cellule puntano alla spazzatura da raccogliere. Fino a poco tempo fa si riteneva che i recettori Optineurin e NDP52 collegassero il “carico” da prelevare alle membrane delle cellule per avviare il processo dell'autofgocitosi. Padman e colleghi, tuttavia, hanno scoperto che il meccanismo funziona esattamente nel modo opposto. Rimuovendo la capacità dei recettori di legarsi alle membrane, hanno osservato che la fagocitosi si compiva comunque: erano infatti le membrane a reclutare più recettori per accelerare il processo di pulizia.

Nuove terapie. Può sembrare una differenza sottile, ma in termini biologici cambia radicalmente il punto di vista su questo meccanismo, per il cui studio lo scienziato giapponese Yoshinori Ōsumi ha vinto il premio Nobel per la Medicina nel 2016. “La squadra di pulizia dell'autofagia è sempre al lavoro nelle nostre cellule, ma a volte non è sempre così efficiente. Se riusciamo a trovare farmaci che prendono di mira questo meccanismo di amplificazione, potremmo aiutare le cellule neuronali ad affrontare l'accumulo di proteine spazzatura legato alla corea di Huntington e al morbo di Alzheimer”, ha dichiarato con entusiasmo il professor Padman. I dettagli della ricerca sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica Nature.

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