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Alzheimer, l’antibiotico minociclina potrebbe proteggerci dalla malattia

Un team di ricerca americano guidato da studiosi del The Scripps Research Institute ha dimostrato che l’antibiotico minociclina può impedire l’accumulo delle proteine dannose nelle cellule. In esperimenti condotti con animali è stata rilevata una diminuzione dell’α-sinucleina e della beta amiloide, i cui grovigli sono associati al morbo di Alzheimer. Il farmaco ne ha anche prolungato la vita.
A cura di Andrea Centini
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L'antibiotico minociclina potrebbe essere un preziosissimo alleato contro patologie neurodegenerative legate all'età e all'accumulo di proteine come il morbo di Alzheimer, il Parkinson e la Sclerosi Laterale Amiotrofica. Il farmaco, un antibiotico appartenente alla classe delle tetracicline, è infatti in grado di prevenire l'accumulo delle proteine associate alla neurodegenerazione (come le placche di beta amiloide) in animali trattati in laboratorio. La minociclina, inoltre, durante i test ha prolungato la vita dei vermi della specie Caenorhabditis elegans.

A dimostrare le potenziali e rivoluzionarie proprietà della minociclina un team di ricerca americano guidato da studiosi dell'autorevole The Scripps Research Institute, che hanno collaborato con i colleghi del The Skaggs Institute for Chemical Biology e del The Buck Institute for Research on Aging. Gli scienziati, coordinati dal professor Gregory Solis, nel primo di una serie di esperimenti hanno testato su vermi giovani e anziani varie molecole note per prolungarne la vita, e hanno rilevaato che la minociclina era l'unica efficace nell'estendere la vita dei più vecchi.

Per scoprirne le ragioni hanno verificato se l'antibiotico riuscisse in qualche modo a prevenire l'accumulo delle proteine. Si tratta di un processo naturale che, con l'avanzare dell'età, diventa problematico a causa della compromissione della proteostasi, il meccanismo di accumulo e rimozione delle proteine nelle cellule. Trattando i vermi giovani e anziani col farmaco Solis e colleghi hanno osservato che esso non solo riusciva a ridurre l'aggregazione delle proteine α-sinucleina e beta amiloide, entrambe associate all'Alzheimer, ma non attivava nemmeno le risposte legate allo stress.

Ma come agiva la minociclina? Attraverso una sonda chimica gli scienziati hanno scoperto che l'antibiotico influenzava direttamente i meccanismi di produzione delle proteine nelle cellule, e non solo nei vermi, ma anche nei topi e nelle cellule umane in coltura. I risultati sono stati osservati anche sfruttando vermi geneticamente modificati per esprimere una diversa attività di produzione delle proteine; in parole semplici, quelli con un una minore attività proteica necessitavano di una dose inferiore di minociclina per evitare l'accumulo delle proteine, dimostrando di fatto il meccanismo d'azione. Poiché questo farmaco è già approvato per il trattamento di alcune malattie neurodegenerative, gli scienziati sperano che con un perfezionamento dei trattamenti si possano ottenere risultati significativi contro queste patologie. I dettagli della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica eLife.

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