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Alzheimer, “i malati triplicheranno entro il 2050”

Una ricerca condotta negli Stati Uniti riporta l’attenzione su quella che potrebbe diventare la vera epidemia di domani.
A cura di Redazione Scienze
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Sarà la generazione dei cosiddetti "baby-boomers" quella che, invecchiando, porterà ad una diffusione del morbo di Alzheimer ancor più capillare di quella che già oggi è possibile riscontrare nei Paesi occidentali; queste le conclusioni di uno studio, finanziato dal Governo americano, condotto dagli esperti del Rush University Medical Center di Chicago che, pur prendendo in considerazione esclusivamente i dati relativi al territorio statunitense, giunge a conclusioni che riflettono perfettamente anche la situazione europea.

In numeri questo significa che gli attuali circa 5 milioni di pazienti affetti da tale forma di demenza degenerativa nei soli Stati Uniti sono destinati a crescere fino a 13 milioni entro il 2050; una stima che, a grandi linee, coincide con le proiezioni di Alzheimer's Disease International e che riguarda anche il Vecchio Continente; in tali valutazioni, inoltre, andrebbe inserito anche l'impatto conseguente alla crescita dei Paesi attualmente in via di sviluppo dove, in seguito all'allungamento della vita media, il morbo di Alzheimer potrebbe iniziare a diventare in tempi relativamente rapidi una patologia estremamente diffusa. Con costi economico-sociali globali probabilmente insostenibili. Certo, c'è da dire che la speranza è che, da qui al 2050, attraverso vaccini o terapie farmacologiche, la malattia sarà stata definitivamente sconfitta; ed ecco che, probabilmente, quest'ultimo studio interviene proprio per sollecitare l'attenzione del governo sull'importanza di investire nella ricerca medica per porre un argine a quella che rischia di divenire, domani, una vera e propria emergenza.

I ricercatori hanno preso in esame le informazioni relative a circa 11 000 individui, di età diverse, sia caucasici sia afroamericani, residenti nella città di Chicago tra il 1993 e il 2011; una volta reclutati come soggetti volontari in buono stato di salute, sono stati seguiti con periodici esami e cicli di interviste, con una cadenza di tre anni. I dati sono stati poi incrociati con altri fattori quali il grado di istruzione, l'età, la razza e con le stime Census relative al tasso di mortalità della popolazione. Ne è risultata una drammatica proiezione per quanto riguarda il futuro di questa insidiosa patologia che, purtroppo, ha delle conseguenze non soltanto dirette sul paziente che ne è affetto ma anche sulla famiglia stessa del malato; conclusioni molto simili a quelle a cui già erano giunti studi precedenti e che, quindi, lasciano poco spazio al dubbio. Sempre ammesso che, nel frattempo, la medicina non regali qualche sorpresa; la ricerca va avanti.

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