Alle piante carnivore piace il sapore della ‘carne’ e gli scienziati ci spiegano perché
Un team internazionale di botanici e genetisti guidati dalla Graduate University for Advanced Studies di Okazaki (Giappone) ha scoperto il segreto molecolare che ha reso delle semplici piantine in piante carnivore, ovvero, la conversione di proteine utilizzate per la difesa da parassiti e malattie in potenti enzimi digestivi, catalizzata dalla modifica di sequenze amminoacidiche. Per giungere a questa affascinante conclusione, gli scienziati coordinati da Kenji Fukushima e Mitsuyasu Hasebe hanno sequenziato il genoma di una specie peculiare, la Cephalotus follicularis di origine australiana, pianta carnivora con trappola ad ascidio che presenta sia foglie modificate per catturare gli insetti che foglie comuni, dunque con ‘doppio' profilo genetico.
Dall'analisi è emersa la conversione delle proteine difensive in enzimi come la chitinasi e la fosfatasi acida viola; la prima serve a dissolvere la dura chitina degli esoscheletri degli insetti, mentre la seconda permette alla pianta di assorbire fosforo e nutrienti dalla degradazione delle parti morbide della preda. Nelle piante con trappola ad ascidio, come la Cephalotus follicularis, le foglie prendono la forma di una sorta di caraffa, nel cui fondo si trova la soluzione acquosa digestiva. Gli insetti vengono attratti dal nettare odoroso e restano intrappolati nella ‘caraffa' a causa delle superfici scivolose e cerose della foglia, oltre che da spine opportunamente modificate.
Confrontando il genoma della specie australiana con quello di altre piante carnivore di origine nordamericana (Sarracenia purpurea) e asiatica (Nepenthes alata), gli studiosi hanno scoperto che in tutte è avvenuto lo stesso processo evolutivo, veicolato da condizioni ambientali analoghe. È un classico esempio di convergenza evolutiva, la stessa che ha spinto squali, delfini e ittiosauri (rettili marini estinti) ad avere la medesima forma idrodinamica, pur appartenendo a tre gruppi di animali totalmente differenti. I dettagli dello studio sono stati pubblicati su Nature Ecology & Evolution.
[Foto di incidencematrix]