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Alimentazione al posto degli antibiotici: così il ferro sconfigge i superbatteri

Ricercatori americani hanno dimostrato che del semplice ferro alimentare può proteggere i topi da un’infezione letale provocata da un batterio. Questo studio potrebbe portare a soluzioni alternative agli antibiotici per combattere le malattie infettive, sempre più pericolose a causa della resistenza ai farmaci.
A cura di Andrea Centini
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Le malattie infettive possono essere combattute anche attraverso l'alimentazione, promuovendo adattamenti metabolici in grado non solo di proteggere dalle infezioni, ma di ridurre persino la pericolosità degli agenti patogeni. Lo ha dimostrato un team di ricerca del Nomis Center for Immunobiology and Microbial Pathogenesis dell'autorevole Salk Institute for Biological Studies di La Jolla, California, dopo aver condotto esperimenti su topi nutriti con supplementi di semplice ferro alimentare.

Gli studiosi dell'istituto americano, coordinati dalla professoressa Janelle Ayres, sono da tempo a caccia di un percorso ‘parallelo' a quello degli antibiotici; questi medicinali, infatti, pur essendo essenziali per contrastare i patogeni, stanno diventando sempre più problematici a causa dell'antibiotico-resistenza sviluppata dai cosiddetti super batteri. Non a caso si stima che entro il 2050 questi microorganismi potrebbero uccidere una persona ogni 3 secondi.

Ma cosa hanno scoperto esattamente Ayres e colleghi? Gli scienziati americani hanno adottato un approccio inedito per dimostrare l'efficacia del ferro alimentare contro l'infezione da Citrobacter rodentium, un batterio che nei roditori provoca diarrea, perdita di peso e nei casi peggiori la morte. Hanno somministrato una dose LD50 (cioè letale per il 50 percento della popolazione) del patogeno alle cavie, e successivamente hanno analizzato l'attività genica nella metà della popolazione infettata ma sana e in quella malata. Da queste indagini è emerso che il metabolismo del ferro era aumentato nei topi del primo gruppo.

Credit: Salk Institute
Credit: Salk Institute

Per evidenziare il fattore protettivo del ferro hanno infettato con una dose LD100 (letale al 100 percento) del patogeno un'altra popolazione di roditori, dei quali metà nutriti normalmente e l'altra metà con supplementi di ferro alimentare per 14 giorni. Tutti i topi nutriti con dieta normale sono morti entro 20 giorni, mentre quelli con i supplementi di ferro non solo sono sopravvissuti oltre il trentesimo giorno, ma addirittura hanno resistito a dosi mille volte superiori alla LD100. Il ferro in questi roditori aveva attivato un cosiddetto ‘sistema di difesa cooperativo' legato all'insulino-resistenza; in parole semplici, il ferro ha ridotto le quantità di zuccheri assorbite dall'intestino, aumentando di conseguenza le sue concentrazioni nel tratto digerente. A causa dell'eccesso di glucosio il batterio non è riuscito ad attivare i suoi geni responsabili della malattia e dunque a infettare i topi. Il dato più incredibile è che a un anno di distanza dall'esperimento, colonie di questi batteri erano ancora presenti nel tratto digerente dei topi sopravvissuti, ma sotto forma di ceppi indeboliti sotto il profilo della patogenicità. Ciò era dovuto proprio ai processi metabolici scaturiti dalla breve assunzione di ferro, che hanno favorito mutazioni meno pericolose.

Ovviamente il ferro alimentare non può essere una ‘soluzione' per tutte le malattie infettive – ad esempio il plasmodio della malaria prospera con questa sostanza, come indicato dai ricercatori – tuttavia potrebbero essere scoperti altri nutrienti in grado di tenere a bada le infezioni. Il risultato sarebbe un approccio innovativo in grado di aggirare l'ostacolo dell'antibiotico-resistenza. "Gli antibiotici e gli antimicrobici rappresentano uno dei più importanti progressi nel campo della medicina e abbiamo sicuramente bisogno di proseguire gli sforzi sullo sviluppo di nuove classi di antimicrobici – ha dichiarato la Ayres -, ma dobbiamo imparare dalla storia e pensare ad altri modi per trattare le malattie infettive". "Il nostro lavoro – ha aggiunto la studiosa – suggerisce che invece di uccidere i batteri, se promuoviamo la salute dell'ospite, possiamo controllare il comportamento dei batteri in modo che non causino malattie e possiamo effettivamente guidarne l'evoluzione in ceppi meno pericolosi”, ha aggiunto con entusiasmo la studiosa. I dettagli dell'importante ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Cell.

[Credit: Pixel2013]

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