Algoritmo sperimentale prevede i focolai di coronavirus con 2-3 settimane di anticipo
Sviluppato un algoritmo sperimentale in grado di prevedere con un anticipo di 2-3 settimane l'emersione di picchi di contagi da coronavirus SARS-CoV-2. Si tratta di uno strumento estremamente promettente che se collaudato (e validato) potrebbe cambiare il modo in cui affrontiamo la pandemia, soprattutto nell'ottica dei cosiddetti interventi non farmaceutici (NPI), alla stregua di zone rosse, lockdown e altre misure restrittive. A maggior ragione se si pensa che la diffusione del virus, a livello globale, è tutto fuorché sotto controllo. Lo dimostrano i dati indicati sulla mappa interattiva sviluppata dai ricercatori dell'Università Johns Hopkins: alla data odierna, sabato 4 luglio, nel mondo risultano 11,1 milioni di infettati dal patogeno e 526mila vittime (solo in Italia si contano 241.184 infettati e poco meno di 35mila morti). Questi numeri impressionanti, in crescita costante, probabilmente non venivano nemmeno immaginati alla fine dello scorso anno, quando in Cina iniziarono a serpeggiare i primi preoccupanti casi di una “misteriosa polmonite”.
Poter prevedere con buon anticipo dove emergeranno i nuovi picchi di COVID-19 (l'infezione scatenata dal SARS-CoV-2) ci permetterebbe di attuare misure restrittive mirate, prima che si debba ricorrere a soluzioni estese che comportano un costo altissimo in termini sociali, economici e psicologici. Ora c'è un nuovo strumento (sperimentale) potenzialmente in grado di aiutarci. A mettere a punto l'algoritmo è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati della prestigiosa Università di Harvard e del Boston Children’s Hospital, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi dell'Università del Maryland; del Dipartimento di Statistica dell'Università di Stanford; del Dipartimento di Geoinformatica dell'Università di Salisburgo (Austria); del Centro Medico Amburgo-Eppendorf (Germania) e di altri istituti. Gli scienziati, coordinati dal professor Mauricio Santillana, direttore del Machine Intelligence Lab presso il Boston Children's Hospital e docente di Pediatria ed Epidemiologia dell'ateneo del Massachusetts, lo hanno sviluppato a partire da un complesso modello creato dai colleghi della Northeastern University, plasmato sulle interazioni delle persone all'interno delle comunità.
In parole semplici, per creare l'algoritmo Santillana e colleghi si sono rivolti ai “Big Data”, ottenuti principalmente da cinque fonti: ricerche di notizie su Google; "cinguettii" su Twitter dedicati al coronavirus; ricerche degli operatori sanitari su una piattaforma specializzata chiamata UpToDate; dati sugli spostamenti delle persone raccolti anonimamente attraverso gli smartphone e misurazioni delle temperature ottenute da termometri Kinsa connessi alla rete. Questo enorme flusso di dati viene estrapolato e “digerito” dall'algoritmo, che è così in grado di "percepire" una tendenza e stimare quando dovrebbe emergere un nuovo picco. Ad esempio, pochi giorni prima dell'esplosione del focolaio di New York, uno dei più grandi, è stata osservata un'impennata di ricerche su Google sul coronavirus, così come nel numero di post su Twitter, oltre che un aumento delle temperature medie registrate dai termometri. L'algoritmo sarebbe stato in grado di prevederlo.
Sulla base dei dati attuali, l'algoritmo prevede che nel Nebraska e nel New Hampshire – come scrive il New York Times – verosimilmente ci sarà un'impennata di casi nelle prossime settimane, se non si prenderanno misure adeguate adesso. L'algoritmo, secondo gli scienziati che lo hanno sviluppato, riesce a intercettare potenziale picchi con 2-3 settimane di anticipo. Come sottolineato da Santillana, "potrebbe essere usato come un termostato, per guidare l'attivazione o il rilassamento a intermittenza delle misure di sanità pubblica". Andrebbe naturalmente sfruttato in sinergia con i normali strumenti di sorveglianza sanitaria.
Benché potenzialmente efficace, il nuovo strumento ha dei limiti da non sottovalutare; ad esempio non può prevedere grandi manifestazioni di massa come quelle seguite all'uccisione di George Floyd (potenziale volano di nuovi contagi); inoltre, col tempo, le persone fanno meno ricerche sui social, quindi i parametri utilizzati dall'intelligenza artificiale non sono "pulitissimi". I dettagli sul promettente algoritmo sono stati caricati sul database online ArXiv, in attesa della revisione fra pari e la pubblicazione su una rivista scientifica.