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Covid 19

A 6 mesi dall’infezione il 76% dei pazienti COVID soffre ancora di almeno un sintomo

Analizzando i dati di oltre 1.700 pazienti ricoverati in un ospedale di Wuhan durante la prima ondata della pandemia di COVID-19, un team di ricerca cinese ha dimostrato che a oltre 6 mesi di distanza dal superamento della fase acuta dell’infezione il 76 percento presentava ancora almeno un sintomo, legato alla cosiddetta “Long COVID”. Tra i più comuni affaticamento e debolezza muscolare. Rilevata anche un ridotta funzionalità polmonare nei pazienti che avevano sperimentato una malattia grave.
A cura di Andrea Centini
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In molti pazienti contagiati dal coronavirus SARS-CoV-2 il superamento della fase acuta dell'infezione (COVID-19) spesso non coincide con una guarigione vera e propria, ma con l'inizio di una lunga fase di recupero in cui sono ancora evidenti gli strascichi lasciati dall'invasione virale. Gli scienziati hanno definito questa condizione con nome “Long COVID”, che in italiano è stata chiamata con diversi appellativi, come sindrome da COVID a lungo termine, postumi della COVID-19 o sindrome post-COVID-19. In parole semplici, si tratta di una serie di sintomi che permangono per mesi, il cui numero e l'intensità sono strettamente connessi con la gravità della malattia sperimentata. I pazienti ricoverati in terapia intensiva, ad esempio, sono quelli che più spesso presentano le conseguenze più pesanti, in particolar modo a livello polmonare e respiratorio. Un nuovo studio ha dimostrato che oltre i tre quarti dei pazienti ricoverati in ospedale per COVID-19 presenta almeno un sintomo a sei mesi di distanza dalle dimissioni.

A condurre la ricerca un team di scienziati cinesi del Centro nazionale di ricerca clinica per le malattie respiratorie dell'Ospedale dell'Amicizia Cina-Giappone di Pechino, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Medicina dell'ospedale Jin Yin-tan di Wuhan, dell'Istituto di ricerca clinica dell'Università di Pechino, dell'Accademia Cinese delle Scienze, del Peking Union Medical College e di altri autorevoli centri di ricerca del dragone. Gli scienziati, coordinati dal professor Bin Cao, medico presso il Dipartimento di medicina polmonare e di terapia intensiva del nosocomio di Pechino, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato lo stato di salute di oltre 1.700 pazienti ricoverati presso l'ospedale di Wuhan tra il 7 gennaio e il 29 maggio dello scorso anno, durante la prima ondata della pandemia. I pazienti inclusi nell'indagine avevano un'età media di 57 anni e le visite di follow-up sono state effettuate tra il 16 giugno e il 3 settembre del 2020, per un tempo medio di follow-up di 186 giorni. I pazienti sono stati valutati attraverso questionari, esami di laboratori, analisi del sangue e altri test per verificare nel dettaglio lo stato di salute, la qualità della vita e il processo di recupero dopo l'infezione.

Dall'analisi dei dati è emerso che a sei mesi di distanza ben il 76 percento dei pazienti presentava ancora un sintomo legato alla COVID-19. I più diffusi e persistenti erano l'affaticamento e la debolezza muscolare, rilevati nel 63 percento dei pazienti, seguiti da disturbi del sonno (26 percento) e ansia o depressione, segnalate dal 23 percento. Dei 390 pazienti sottoposti a test di controllo supplementari, in 41 non sono riusciti a completare il test per la funzionalità polmonare, a causa della forte debilitazione. Chi aveva avuto bisogno di ventilazione meccanica ed ossigenoterapia manifestava con maggiori probabilità una funzione polmonare ridotta, evidenziando anche alterazioni nelle scansioni polmonari, con la presenza di potenziali danni agli organi. I pazienti gravi hanno ottenuto anche i punteggi peggiori nel test del cammino di sei muniti. Numerosi pazienti che avevano una funzione renale nella norma durante il ricovero hanno sviluppato un deterioramento durante la convalescenza, inoltre è stato rilevato un crollo degli anticorpi neutralizzanti a sei mesi di distanza dal primo controllo, con una riduzione del 52,5 percento. Ciò potrebbe suggerire un rischio di reinfezione, sebbene l'immunità sia legata anche ad altre cellule (ad esempio quelle B della memoria) e dunque non è ancora chiaro quanto tempo possa durare lo scudo immunitario.

“Poiché la COVID-19 è una malattia così nuova, stiamo solo iniziando a comprendere alcuni dei suoi effetti a lungo termine sui pazienti”, ha dichiarato il professor Bin Cao. “La nostra analisi indica che la maggior parte dei pazienti continua a convivere con almeno alcuni degli effetti del virus dopo aver lasciato l'ospedale, e ciò evidenzia la necessità di cure post-dimissione, in particolar modo per coloro che hanno sofferto di infezioni gravi. Il nostro lavoro sottolinea anche l'importanza di condurre studi di follow-up più lunghi in popolazioni più ampie al fine di comprendere l'intero spettro di effetti che la COVID-19 può avere sulle persone”, ha aggiunto lo scienziato. “Purtroppo, ci sono pochi rapporti sul quadro clinico delle conseguenze della COVID-19. Lo studio di Huang e colleghi su The Lancet è quindi rilevante e tempestivo”, hanno dichiarato gli scienziati italiani Monica Cortinovis, Norberto Perico e Giuseppe Remuzzi, che hanno commentato la ricerca “6-month consequences of COVID-19 in patients discharged from hospital: a cohort study” pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica con un articolo ad hoc.

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