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501 specie di rane decimate dal patogeno più letale della Terra: 90 sono estinte o quasi

Un team di ricerca internazionale guidato da erpetologi australiani ha dimostrato che la chitridiomicosi, la letale malattia causata dal fungo Batrachochytrium dendrobatidis, ha decimato 501 specie di rane, 90 delle quali sono estinte o presunte tali. Ciò rende il fungo il patogeno più mortale del Pianeta noto alla Scienza.
A cura di Andrea Centini
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Credit: Forrest Brem
Credit: Forrest Brem

Il fungo Batrachochytrium dendrobatidis responsabile della malattia chiamata chitridiomicosi ha causato la decimazione di 501 specie di rane, 90 delle quali sono estinte o presunte tali. Il drammatico dato, emerso da una nuova indagine, è più del doppio di quello stimato in precedenza, e rende il patogeno fungino il più letale sul nostro pianeta conosciuto dagli scienziati. A dimostrare l'impatto devastante della chitridiomicosi è stato un team di ricerca internazionale guidato da biologi dell'Università Nazionale Australiana (ANU), che hanno collaborato con colleghi di tutto il mondo. Tra gli istituti e gli atenei coinvolti vi sono il Dipartimento di Biologia dell'Università di Porto Rico; il Laboratorio di Biologia Evolutiva dell'Università Cattolica del Cile; l'Università di Pamplona; l'Università Internazionale della Florida; la Società Zoologica di Londra; il Museo di Storia Naturale di Berlino e moltissimi altri ancora.

La zampino dell'uomo. Tutto ebbe inizio negli anni '70, quando i biologi si accorsero che le popolazioni di diverse specie di rana stavano letteralmente crollando, soprattutto in America Centrale e in Australia. A rendere particolarmente inquietante il fenomeno, il fatto che ciò avveniva in ambienti incontaminati, non esposti alla deforestazione, all'inquinamento o ad altri fattori antropici. Cosa stava uccidendo questi anfibi? La risposta arrivò solo nel 1998, quando gli scienziati scoprirono il Batrachochytrium dendrobatidis. Il letale fungo si insinua nella pelle degli anfibi, la “secca” e ne determina lo staccamento, determinando una morte orribile. Rane e salamandre possono infettarsi attraverso le spore disperse nell'acqua o per contatto con altri animali. Le specie più suscettibili sembrano essere quelle più grandi e quelle che vivono in ambienti freschi e umidi. Alcune, come il rospo dorato (Incilius periglenes) del Costa Rica; l'Atelopus arthuri dell'Ecuador e la gastric brooding frog australiana sono state letteralmente spazzate via. Studiando la situazione globale – anche l'Italia è stata colpita – è emerso che il Batrachochytrium dendrobatidis si è diffuso in tutto il mondo dalla penisola coreana, a causa del traffico internazionale di anfibi. Insomma, è stato l'uomo a far diffondere questo morbo letale, che curiosamente non uccide le specie dell'areale di origine.

Il rospo dorato, estinto a causa della chitridiomicosi Credit: Charles H. Smith
Il rospo dorato, estinto a causa della chitridiomicosi Credit: Charles H. Smith

Situazione drammatica. Gli scienziati coordinati dal professor Ben C. Scheele, docente presso la Fenner School of Environment and Society dell'ANU, ha determinato l'impatto del fungo viaggiando in tutto il mondo, esaminando centinaia di studi sull'argomento e anche collezioni museali, che hanno fornito un quadro molto più preciso sugli effetti della malattia. I biologi hanno scoperto che il picco massimo della chitridiomicosi è stato raggiunto negli anni '80, molto prima che venisse individuata dagli scienziati. Il 39 percento delle specie coinvolte ancora oggi sta affrontando un rapido declino, mentre il 12 percento ha fortunatamente dato segnali di ripresa, forse grazie alla selezione naturale che ha permesso la sopravvivenza degli esemplari resistenti al fungo. Ci sono aree in cui la chitridiomicosi non è ancora arrivata, come la Nuova Guinea, dove vivono moltissime specie di anfibi minacciati da altri fattori; gli scienziati indicano che deve essere fatto il possibile per bloccare il traffico internazionale di anfibi, proprio per evitare che la malattia possa estendersi ulteriormente. I dettagli della nuova ricerca sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica Science.

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