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‘Parlare’ con la mente è possibile: ecco il dispositivo che legge il pensiero

Una tecnologia basata sulla misurazione dei livelli di ossigeno nel sangue ha permesso ad alcuni malati di SLA con sindrome locked-in di tornare a comunicare con i propri cari. È la prima volta che accade.
A cura di Andrea Centini
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Un team di ricerca internazionale coordinato dal Wyss Center for Bio and Neuroengineering di Ginevra (Svizzera) ha messo a punto una tecnologia in grado di ‘leggere la mente' attraverso l'analisi dei livelli di ossigeno presenti nel sangue del cervello, permettendo la comunicazione anche ai malati con sindrome locked-in, una condizione clinica nella quale si è coscienti ma totalmente paralizzati. Il dispositivo utilizzato, seppur estremamente acerbo dal punto di vista delle opzioni offerte, ha dato modo a quattro malati di SLA di tornare a ‘parlare' con i propri famigliari dopo anni di assoluto silenzio in un lettino d'ospedale. Si tratta di un traguardo straordinario che getta le basi per future conquiste in questo delicatissimo campo medico.

La tecnologia, chiamata “functional near-infrared spectroscopy”, ha un'accuratezza del 70 percento e al momento riesce a decifrare solo i sì e i no quando vengono sottoposte le domande al malato. Può sembrare molto poco, inoltre è un modo di comunicare del tutto univoco, tuttavia per persone che vivono completamente immobilizzate in un letto d'ospedale, poter esprimere sentimenti e condizioni è un passo avanti enorme. Lo è anche per i famigliari che vivono questo dramma. Non è un caso che alla domanda “sei felice” tutti i sottoposti al test abbiano risposto affermativamente. Del resto esistono diversi macchinari in grado di ‘leggere il pensiero', come peculiari ECG (elettroencefalografie) che analizzano l'attività elettrica dei muscoli, ma essi non sono efficaci per i pazienti con la sindrome locked-in.

Cos'è la sindrome locked-in

La sindrome locked-in è una condizione apparentemente simile allo stato vegetativo, tuttavia è molto differente dal punto di vista clinico. In questo stato, conosciuto anche col nome di sindrome chiavistello, pseudocoma o disconnessione cerebromedullospinale, il paziente è infatti perfettamente cosciente e con gli occhi aperti, ma non può muovere nemmeno un muscolo. È una condizione complessa che spesso accompagna le fasi finali nei malati di SLA e altre patologie degenerative, ma può emergere anche in seguito a gravi ictus. Ricerche come quella coordinata dagli studiosi svizzeri, i cui dettagli sono stati pubblicati su PloS Biology, possono aiutare a renderle meno dolorose.

[Foto di wysscenter]

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