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Opinioni

Nel sonno la diagnosi dell’Alzheimer

In base ai risultati presentati questa settimana al meeting annuale della Society for Neuroscience a New Orleans (Louisiana), il manifestarsi dell’insonnia e dei disturbi del sonno potrebbe essere un campanello d’allarme per una futura diagnosi di Alzheimer.
A cura di Julia Rizzo
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Insonnia e Alzheimer

I pazienti con il morbo di Alzheimer lamentano spesso interruzioni nel loro riposo notturno durante le prime fasi della malattia. Roxanne Sterniczuk, neurofisiologa della Dalhousie University di Halifax (Canada), ha voluto determinare come si verificano questi cambiamenti e se danno la possibilità di predire un potenziale rischio di sviluppare il morbo. Insieme ai suoi colleghi ha analizzato i dati raccolti nell'ambito dell’indagine Salute, Invecchiamento e Pensioni in Europa” (progetto SHARE), uno studio a lungo termine che ha coinvolto circa 55.000 persone di età maggiore di 50 anni provenienti da 20 Paesi europei. Lo studio riporta numerosi dati incrociati che misurano la qualità della vita sia dal un punto di vista della salute, sia da quello sociale ed economico. Sterniczuk  e i suoi colleghi si sono concentrati sulle misure della qualità del sonno, usandole per la produzione di un “indice di disturbi del sonno” nella fascia d’età senile.

C’è un collegamento fra l’insonnia e l’insorgenza dell’Alzheimer? I ricercatori hanno scoperto che a molti di coloro che hanno riferito d’avere un sonno inquieto, una sensazione di stanchezza durante il giorno e che assumono farmaci per dormire, veniva diagnosticato il morbo di Alzheimer entro i 2 anni successivi. "L’aumento della sonnolenza diurna era il più rilevante fattore predittivo", dichiara Roxanne Sterniczuk.

Campanello d'allarme

Insonnia e Alzheimer

La malattia di Alzheimer è caratterizzata da due fattori principali – la deposizione di placche insolubili costituite da una proteina chiamata ß-amiloide, ‌‌che si accumulano negli spazi tra le cellule nervose, e gli aggregati proteici chiamati grovigli neuro fibrillari, che si depositano all'interno delle cellule. “I disturbi del sonno possono essere un fattore di riconoscimento precoce per i cambiamenti sospetti nel cervello che accompagnano spesso patologie più serie, oppure possono contribuire alla progressione della malattia”, dice David Holtzman, neurologo della Washington University School of Medicine di St Louis (USA), dove studia la malattia di Alzheimer. Il mese scorso, Holtzman e i suoi colleghi hanno riferito che in un modello murino del morbo si interrompeva il corretto ciclo sonno-veglia in seguito alla formazione delle placche amiloidi e che, eliminando tali placche, il ciclo era tornato alla normalità. Tuttavia, per giungere a tali conclusioni anche riguardo al cervello dell’essere umano, è necessario effettuare ulteriori studi e approfondimenti clinici.

Il morbo di Alzheimer prende il nome dallo scienziato che lo descrisse per la prima volta nel 1906, lo psichiatra e neuropatologo tedesco Alois Alzheimer. Nelle prime fasi, il sintomo più comune è l'incapacità di acquisire nuovi ricordi e la difficoltà nel ricordare eventi osservati recentemente. Con l'avanzare della malattia, il quadro clinico può prevedere confusione, irritabilità e aggressività, sbalzi di umore, difficoltà nel linguaggio, perdita della memoria a lungo termine. Nel 2006 erano 26,6 milioni i malati in tutto il mondo e le stime prevedono un aumento di questa percentuale. L’ampia e crescente diffusione nella popolazione, la limitata e comunque non risolutiva efficacia delle terapie disponibili e le enormi risorse necessarie per la gestione, la rendono una delle patologie a più grave impatto sociale del mondo. Il Rapporto Mondiale Alzheimer 2012, diffuso oggi da Alzheimer’s Disease International (ADI) e in Italia dalla Federazione Alzheimer Italia, rivela il problema sociale della malattia. Infatti, il 24% di persone con demenza nasconde la propria diagnosi e il 40% riferisce di non sentirsi accettato nella vita di tutti i giorni.

Insonnia

Dormire è un'esigenza primaria dell'essere umano. Dormiamo circa un terzo dell’intera nostra esistenza. Il bisogno fisiologico di dormire differisce da individuo a individuo e si modifica nel corso della vita, tendendo a diminuire con l'avanzare dell'età. La durata del sonno non è, quindi, sufficiente a definire una condizione di insonnia: è necessario considerare anche la qualità del riposo e gli effetti che essa determina sul piano psicofisico. Per definizione, l'insonnia corrisponde a un'alterazione dell'equilibrio sonno-veglia con conseguente disagio che limita il benessere e le attività quotidiane. Il disturbo può essere classificato "di circostanza" e “transitorio”, con episodi isolati che durano in genere meno di un mese, in periodi di particolare stress, oppure può essere "cronico", se si protrae per periodi più lunghi e necessità di un intervento terapeutico o farmacologico.

Un'insonnia apparentemente ingiustificata può rappresentare un sintomo indicativo della presenza di un'altra malattia. Tra le malattie che più frequentemente possono causare insonnia ci sono soprattutto patologie neurologiche (come la malattia di Parkinson e la malattia di Alzheimer), le malattie della tiroide e le sindromi ansioso-depressive. Nelle persone anziane l’insonnia tende a presentarsi anche in assenza di uno stato depressivo o neurodegenerativo ed è quindi importante riuscire a distinguere in maniera corretta le cause di un mancato riposo notturno.

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Julia Rizzo è laureata in biologia ed è appassionata di comunicazione scientifica, soprattutto in ambito naturalistico ma anche biomedico. Attualmente vive a Bolzano.
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