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Dalla biologia uscirà la prossima scoperta del secolo?

Mentre la fisica lavora sulle origini dell’universo, la biologia del XXI punta sui segreti della vita. La scoperta del secolo sarà l’esistenza di vita fuori dalla Terra, la comprensione di come la vita ha avuto origine sul nostro pianeta o la vittoria sull’invecchiamento?
A cura di Roberto Paura
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biologia

Nonostante sia una delle branche della scienza più fortunate in termini di finanziamenti pubblici e privati, grazie alle maggiori ricadute pratiche delle scoperte, la biologia ha qualcosa da invidiare alla fisica: la scarsità di grandi scoperte capaci di guadagnare le prime pagine dei giornali. La fisica fa spesso parlare di sé, perché cerca di portare alla luce i più intimi segreti dell’universo, e di rispondere alla più grande delle domande esistenziali: “Da dove veniamo?”. Che si tratti dei neutrini o del bosone di Higgs, della supersimmetria o della teoria delle stringhe, le scoperte della fisica fanno parlare parecchio e riempiono gli scaffali di divulgazione scientifica delle librerie. La biologia, d’altro canto, dopo la grande scoperta della struttura del DNA, ha continuato le sue ricerche nel silenzio dei media. La rivista Nature ha aperto ora il dibattito su quale possa essere la futura “scoperta del secolo” della biologia, l’equivalente del bosone di Higgs.

Le frontiere dell'esobiologia

encelado

L’esobiologia è forse l’ambito di frontiera più promettente in questo senso. Del resto, scoprire che la vita esista da qualche altra parte, al di fuori della Terra, sarebbe davvero una scoperta sensazionale. Anche se nel 1964 il paleontologo George Gaylord Simpson dichiarò scetticamente che “l’esobiologia non ha ancora dimostrato che l’oggetto della sua materia esista davvero” (e in effetti fino a oggi non è stato ancora smentito), secondo il planetologo Christopher Chyba dell’Università di Princeton la scoperta di vita extraterrestre ha molte somiglianze con la scoperta della famosa particella di Dio. La ricerca di vita extraterrestre permetterebbe di sottoporre a verifica il “modello standard” della biologia, fondato sul DNA, cioè sull’insieme di amminoacidi e proteine che formano il codice genetico. Se fosse scoperto un modello biologico fondato su basi diverse, ossia su un diverso tipo di biochimica, sarebbe necessario rivedere il modello standard e accettare la possibilità che la vita possa evolversi anche in modi diversi da quelli che conosciamo.

A ogni modo, non è necessario scoprire forme di vita nuove per gridare alla scoperta del secolo. Trovare tracce di vita come noi la conosciamo su Marte, per esempio, sarebbe più che sufficiente: dimostrerebbe comunque che la biochimica del DNA esiste al di fuori della Terra. Per l’astrobiologo Chris McKay della NASA, all’interno del sistema solare restano tre ipotesi dove trovare forme elementari di vita: Encelado, una delle lune di Saturno, ricoperta di ghiaccio, al di sotto del quale potrebbe esserci acqua allo stato liquido e forme elementari di vita; Europa, uno dei satelliti di Giove, dalle condizioni molto simili a Encelado; e naturalmente Marte, dove ad agosto atterrerà il nuovo rover Mars Science Laboratory, con alcuni strumenti che potrebbero individuare l’eventuale origine biologica del metano prodotto su Marte.

Il mistero dell'origine della vita

arsenico

Secondo altri, potremmo non dover andare a cercare troppo lontano. Potrebbe esistere una “biosfera ombra” sulla Terra, composta da forme di vita diverse da quelle che conosciamo, e che gli scienziati non conoscono semplicemente perché non sanno dove cercare. Del resto, già l’invenzione del microscopio ha rivelato un mondo completamente nuovo, quello della vita microscopica. È noto che nel 2010 la NASA rivelò, in una roboante conferenza stampa, la scoperta di forme di vita basate sull’arsenico anziché sul fosforo – alla base del DNA – sul fondo di un lago in California. Ma all’annuncio ha fatto seguito grande scetticismo, e in effetti da allora gli esperimenti realizzati per replicare la scoperta hanno fatto un buco nell’acqua.

Un altro importante filone di ricerca della biologia resta quello della ricostruzione del processo tramite il quale, dal brodo primordiale, tre miliardi e mezzo di anni fa, è venuta fuori la prima forma di vita. La prima molecola della vita sarebbe forse l’RNA, secondo Gerald Joyce dello Scripps Research Institute in California, la versione “di copia” del DNA, che poi si sarebbe dimostrata poco efficace e sostituita con il DNA. Secondo altre teorie, invece, l’RNA non sarebbe stata la prima entità vivente, in quanto troppo complessa: qualcosa avrebbe preceduto l’RNA, e scoprire cosa sarebbe una scoperta sufficientemente clamorosa.

La sfida dell'immortalità

dna_rna

Resta poi, niente di meno, la sfida dell’immortalità. La decodifica del genoma umano ha permesso di aprire tutto un nuovo filone di ricerca per individuare i “geni della longevità”. Sono ben note le ricerche che hanno dimostrato come la mutazione di un singolo gene abbia permesso di raddoppiare la vita di un nematode, mentre un’altra mutazione in un gene che regola gli ormoni aumenta la vita dei topi da laboratorio fino al 68%. Poi c’è la rapamicina, sostanza che deve il suo nome a Rapa Nui, l’isola di Pasqua, dove è stata scoperta per la prima volta. La sua assunzione aumenta la speranza di vita del 10% nei topi maschi e del 18% nelle femmine. La controindicazione è che la rapamicina può ridurre le difese del sistema immunitario, per cui la sua assunzione per gli esseri umani non è, al momento, la soluzione più indicata. Richard Miller, impegnato negli studi sull’invecchiamento all’Università di Michigan, mette le cose in chiaro: “Avremo la risposta solo quando avremo qualcosa che possiamo mettere nel cibo per i cani per estendere la loro speranza di vita dal 15 al 20%”. Questo perché i cani sono considerati i soggetti intermedi ideali tra i topi e gli esseri umani, e una sperimentazione con esito positivo su di loro ci permetterebbe di cantare vittoria.

L’altra strada è la ricerca sui telomeri, che regolano il logoramento dei cromosomi e la longevità delle cellule. Invertire questo processo di logoramento permetterebbe di invertire il processo di invecchiamento. Almeno, così è successo con i topi: da vecchi e malati sono tornati giovani e sani. Se questa è la strada giusta, la scoperta del secolo è più vicina, ma non al punto da tirare fuori lo champagne. Probabilmente la fisica batterà ancora la biologia, stanando entro l’anno la particella di Dio. Ma c’è da scommettersi che, nello scegliere tra un bosone e l’elisir di lunga vita, l’uomo della strada non starà a pensarci troppo.

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