Yasunì, perché un mondo nuovo è possibile
Nel giro di pochi decenni il mondo dovrà necessariamente mutare il proprio volto; i combustibili fossili su cui si sono adagiate le fondamenta dell'economia mondiale negli ultimi decenni sono inevitabilmente destinati all'esaurimento. Lo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali, la deforestazione, l'inquinamento: quelle che oggi sono pesanti minacce che gravano sullo stato di salute del nostro pianeta avranno già manifestato del tutto i propri devastanti effetti sull'ambiente, obbligando probabilmente ad un cambiamento di rotta repentino che possa assicurarci un futuro. Fortunatamente, qualcosa già si muove in questa direzione ed in tanti stanno iniziando a comprendere quali sono le reali potenzialità della green economy, uno dei pochi settori in crescita nonostante la crisi, e dell'approccio eco sostenibile al territorio: certamente, tra questi merita una menzione particolare la battaglia portata avanti dall'Ecuador e dal suo Presidente Rafael Correa.
Nello stato sudamericano c'è un parco chiamato Yasunì, a circa 250 chilometri dalla capitale Quito, orgoglio dell'intero territorio: oltre 980 000 ettari di natura incontaminata, migliaia di specie di alberi ed arbusti, decine di mammiferi, centinaia di uccelli ed insetti trovano rifugio in un'area che vanta una delle maggiori biodiversità dell'intero pianeta, al punto da essere classificata come Riserva Mondiale della Biosfera dall'UNESCO.Qui vivono anche alcuni membri del popolo Waorani, solo da pochi decenni entrati in contatto con il resto del mondo con nefaste conseguenze per tutti gli indigeni: gli stravolgimenti ambientali hanno avuto una fortissima influenza su una cultura che ha tradizionalmente vissuto in stretta relazione con la propria foresta, luogo sacro, depositario del passato, degli antichi racconti, degli spiriti degli avi.
Proprio per questa ragione, quella zona protetta entro i confini del Parco Nazionale Yasunì, ha sempre meritato una cura ed una tutela maggiori, un indispensabile occhio vigile che ne salvaguardasse l'integrità, per il bene degli autoctoni e dell'intero pianeta, oggi più di ieri con il bacino amazzonico sempre più esposto alle distruttive pressioni di inquinamento e deforestazione e sempre meno in grado di rispondere alle aggressioni ambientali dell'uomo. E per fermare l'attività petrolifera che avrebbe distrutto per sempre questo autentico patrimonio dell'umanità, un'idea innovativa e rivoluzionaria è stata messa in atto dal Governo di Quito: l'Ecuador ha deciso, già anni addietro, di non estrarre dal ricchissimo sottosuolo una quantità di greggio che avrebbe fruttato cospicue entrate nelle casse dello Stato, stimabili in circa 7 miliardi di dollari nell'arco di un decennio, nonostante le insistenze delle compagnie petrolifere.
Nel 2007 Rafael Correa annunciò all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite la propria intenzione di voler lasciare inviolato il territorio purché la comunità internazionale mettesse a disposizione dell'Ecuador il 50% della ingente somma di denaro che sarebbe entrata a far parte del bilancio dello stato. Ma il termine stabilito del 31 dicembre 2011 sembrava avvicinarsi con terrore e nessuno era ancora in grado di stabilire quale sarebbe stato il destino per lo Yasunì; e invece il denaro è arrivato da tutto il mondo. Molti nomi famosi (da Al Gore a Leonardo di Caprio ad Edward Norton) si sono impegnati con donazioni assieme ai governi di diversi paesi e a numerose associazioni non governative, con il solo obiettivo di salvare Yasunì e, attraverso esso, una parte importante del pianeta: perché se un territorio incontaminato viene distrutto per cedere alle logiche del mercato, in poco tempo saranno tutti a farne le spese, non solo il popolo Waorani. Alla fine sono stati raccolti 116 milioni di dollari ma la campagna proseguirà anche per il prossimo biennio.
Una somma che ha scongiurato, momentaneamente, il pericolo dello sfruttamento del giacimento, risparmiando alla nostra atmosfera centinaia di milioni di tonnellate di CO2 e salvando una comunità dalla violentissima aggressione che sarebbe seguita alla devastazione dei loro territori. Oltretutto il popolo Waorami merita una particolare tutela e protezione anche perché, secondo un recente studio pubblicato dall'autorevole rivista scientifica Nature, costituisce un vero e proprio unicum genetico: un accurato lavoro sul DNA mitocondriale dei nativi ha infatti dato modo ai ricercatori spagnoli ed ecuadoriani di verificare che queste genti, ritenute probabilmente le più bellicose dell'intero genere umano mai conosciute fino ad ora, detengono una caratterizzazione genetica assolutamente unica in conseguenza del lungo isolamento di cui hanno potuto godere, praticamente totale fino agli anni '50, ma anche dell'esiguità di questa comunità che, tradizionalmente, ha sempre vissuto nel cuore dell'Amazzonia. Gli scienziati ritengono che, in virtù di ciò, gli Waorani costituiscano un ottimo esempio di come l'impronta genetica finisca per riflettersi sui tratti socioculturali ma anche sulla caratterizzazione psicologica ed etnica.
Al pari di come è accaduto per la Bolivia, dove i nativi sono stati protagonisti della battaglia per impedire che un'autostrada sventrasse in due il Parco Nazionale e territorio indigeno Isiboro Sécure, anche qui certamente la presenza di popolazioni tribali garantisce in parte per l'integrità di un territorio che, altrimenti, sarebbe già caduto sotto i feroci colpi della devastazione. Lo Yasunì, la sua storia recente, è la più viva testimonianza della possibilità di un'alternativa per un futuro verde in cui il progresso sia sempre affiancato dal rispetto per l'ambiente: l'auspicio è che accordi di questo tipo possano servire da modello, in futuro, per tutte le aree del pianeta in cui una ricchissima biodiversità si trova a combattere quotidianamente con diversi tipi di minacce. Del resto, le donazioni che alcuni paesi possono permettersi nei confronti di queste terre, non sono altro che una restituzione di quanto, nella storia, è stato tolto a questa gente che, un giorno, ha improvvisamente scoperto di non essere più sola al mondo.