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Vincent Van Gogh fu assassinato?

Pubblicata in Gran Bretagna l’ultima biografia del pittore olandese in cui i due autori sostengono che Vincent Van Gogh non si sarebbe suicidato.
A cura di Nadia Vitali
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Pubblicata in Gran Bretagna l'ultima biografia del pittore olandese in cui i due autori sostengono che Vincent Van Gogh non si sarebbe suicidato.

Steven Naifeh e Gregory White Smith hanno già meritato nel 1991 l'onore del premio Pulitzer grazie alla biografia del pittore statunitense Jackson Pollock; questa volta, il lavoro con cui si sono cimentati è la ricostruzione della vita di un'anima tormentata, di un talento geniale ed irripetibile, di un'esistenza troppo breve, segnata, quasi come se si trattasse di una condanna del destino, dall'arte e dalla follia più sregolata.

Van Gogh- The Life nasce dalle minuziose ricerche durate dieci anni dei due scrittori, durante i quali i giorni dell'artista sono stati scandagliati in ogni dettaglio, restituendo il ritratto di un uomo molto più instabile, controverso, infelice, promiscuo di quanto già precedentemente sostenuto; ma anche di una persona assai di frequente volgare, aggressiva, dedita all'alcol e con dei rapporti difficili, proprio a causa di questo suo carattere, con i familiari, con i propri amici, con gli altri artisti, come Henry de Toulouse-Lautrec e Georges Seurat.

Ma quello che farà discutere maggiormente, delle oltre 900 pagine di questo libro, riguarda la morte del pittore olandese: gli autori, pur premettendo l'impossibilità di sapere cosa accadde in quel 27 luglio del 1890 ad Auvers-sur-Oise, quando Vincent Van Gogh rientrò nell'albergo Ravoux in cui viveva dopo una passeggiata in quelle campagne dove dipingeva le sue opere, ritengono, infatti, di poter affermare a buon diritto che, contrariamente a quanto ampiamente accettato, l'artista non si sarebbe suicidato.

Pubblicata in Gran Bretagna l'ultima biografia del pittore olandese in cui i due autori sostengono che Vincent Van Gogh non si sarebbe suicidato.

Le numerose incongruenze relative al racconto delle sue ultime ore di vita hanno spinto Naifeh e Smith a ricostruire un'ipotesi diversa da quella condivisa fino ad ora: Van Gogh giaceva disteso sul proprio letto quando, non vedendolo arrivare per pranzo, salirono nella sua camera ad accertarsi delle sue condizioni; egli sostenne di aver provato a suicidarsi, sparandosi in un campo. Un campo, tuttavia, troppo lontano dall'albergo, sostengono i due autori; c'era poi la dichiarazione di un uomo che sosteneva di aver sentito uno sparo in una zona ben più vicina di quella indicata dal pittore. Anche il medico, che si occupò di quelle sue ultime ore di vita, prima del decesso per soffocamento, sostenne che quel proiettile penetrato nel ventre, in verità, sembrava esploso ad una certa distanza dal suo corpo.

Infine la testimonianza di un uomo su un giornale francese che, anni dopo, raccontava di essere stato adolescente quando Van Gogh viveva ad Auvers. Assieme al fratello, il ragazzo bersagliava costantemente con scherzi, scherno e derisione quest'uomo solo e folle; fu lui che impugnò l'arma che uccise a 37 anni il pittore; a quel giovane piaceva vestirsi da cow boy e sparare agli animali della campagna con una vecchia pistola mal funzionante, dalla quale quel giorno partì un colpo accidentalmente.

Eppure, come mai nelle ore della sua straziante agonia, Van Gogh non denunciò i propri assassini? Per non rovinare la vita a due fanciulli, giacché si trattò di un incidente, forse; ma, soprattutto, sostengono gli autori, perché in realtà per la sua anima la morte fu una liberazione: da un'esistenza sofferta, dalla povertà che avanzando lo minacciava, dalla sua diversità che ha donato tanta arte al mondo e tanto dolore a lui stesso, «un favore» come sostengono i due autori, per una follia che forse stava diventando un peso insopportabile.

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