Vaccino di Pfizer sta bloccando la COVID in Israele: solo 16 ricoveri su 700mila vaccinati
La campagna vaccinale contro il coronavirus SARS-CoV-2 è iniziata da alcune settimane in quasi in tutto il mondo, ma molti Paesi si stanno scontrando con la scarsa disponibilità delle dosi, tanto che in diversi casi si è ancora attorno all'1 percento della popolazione immunizzata. Tra chi invece sta procedendo speditamente verso l'immunità di gregge vi è Israele, dove oltre il 40 percento dei cittadini ha ricevuto la prima dose e il 20 percento la protezione completa. La ragione di questo vantaggio sugli altri risiede nell'accordo stipulato da Tel Aviv e Pfizer-BioNTech, con benefici evidenti per entrambe le parti. Il Paese ha infatti una popolazione di poco meno di 9 milioni di abitanti, ha confini rigidamente controllati e un sistema di controllo e tracciamento dei cittadini molto preciso; queste caratteristiche rendono Israele un banco di prova perfetto per dimostrare l'efficacia di un vaccino contro il coronavirus SARS-CoV-2, e se a questo si aggiunge l'impennata di contagi delle ultime settimane, anche Pfizer può ottenere vantaggi “promozionali” dalla campagna locale. Da qui la distribuzione capillare delle dosi, che sta dimostrando l'elevatissima efficacia del vaccino tozinameran/BNT162b2.
A certificare l'effetto positivo della campagna vaccinale vi sono i dati diffusi dal Maccabi Health Services e dal Ministero della Salute israeliano, che dimostrano un'efficacia del vaccino dopo la seconda dose pari al 92 percento. Sebbene nello studio clinico di Fase 3 il vaccino di Pfizer ha evidenziato un'efficacia del 95 percento, va considerato che in quel caso si trattava di un contesto sperimentale, inoltre il campione di cittadini israeliani in cui è stato inoculato il vaccino ha un'età media molto più elevata di quello coinvolto nella ricerca. Poiché i vaccini funzionano meno negli anziani, a causa di un sistema immunitario meno “pronto”, un'efficacia del 92 percento è un risultato straordinario. Come indicato nel rapporto del Maccabi Health Services, solo 31 israeliani su 163mila che hanno ricevuto la seconda dose del vaccino si sono infettati col coronavirus, a 7-16 giorni dal richiamo. In una popolazione analoga non vaccinata messa a confronto, i casi di COVID-19 sono stati oltre 6.500. “Questa è una notizia molto, molto buona. È il primo studio al mondo che esamina un numero così elevato di pazienti completamente vaccinati”, ha dichiarato al Times of Israel il dottor Anat Ekka Zohar, vicepresidente del Maccabi Health Services e analista di dati epidemiologici.
Estremamente positivi anche i dati diffusi dal Ministero della Salute. Entro una settimana dalla seconda dose del vaccino di Pfizer-BioNTech, 317 persone su 715.425 sono risultate positive al tampone oro-rinofaringeo. È un tasso dello 0,044 percento. Fra essi, solo in 16 hanno avuto necessità di un ricovero in ospedale per assistenza, ciò significa lo 0,002 percento del totale. Il tasso di infezione è doppio rispetto a quello rilevato dal Maccabi Health Services, tuttavia va sottolineato che i cittadini che fanno riferimento a questo ente sanitario provengono da un contesto socioeconomico più agiato, e risiedono in località dove il virus circola molto meno. Se la popolazione fosse stata più variegata come nel caso dei dati del Ministero della Salute, gli esperti sono sicuri che i tassi si equivarrebbero. Nonostante questi risultati molto incoraggianti, che rappresentano uno sprone per tutti Paesi a procedere il più speditamente possibile alla vaccinazione di massa (dosi permettendo), dalle analisi è emerso anche che la protezione della sola prima dose è inferiore rispetto a quanto osservato durante la sperimentazione clinica. Ci sono infatti poco più di 400 cittadini israeliani ricoverati dopo aver ricevuto la prima inoculazione. Anche Pfizer ha sottolineato che per ottenere la massima efficacia dal vaccino è fondamentale sottoporsi a entrambe le dosi. Al momento, comunque, i dati della copertura completa sono molto incoraggianti e lasciano ben sperare nella lotta alla pandemia.