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Covid 19

Vaccino Covid-19, a chi dovranno essere destinate le prime dosi?

Diversamente all’approccio standard che si basa sul presupposto della disponibilità, quando arriverà il vaccino contro il nuovo coronavirus si dovrà decidere a chi somministrare le prime dosi. Al momento della distribuzione, in Italia saranno disponibili 2-3 milioni di dosi che, oltre agli operatori sanitari, saranno probabilmente riservate agli anziani con patologie. Sarà questa la strategia più efficace per raggiungere l’immunità di gregge?
A cura di Valeria Aiello
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Tra le incertezze che aleggiano attorno al vaccino anti-Covid, uno dei nodi da sciogliere sarà quello di decidere a chi andranno le prime dosi. Diversamente dall’approccio standard che si basa sul presupposto della disponibilità, se uno degli attuali candidati vaccini supererà con successo la sperimentazione, arrivando ad ottenere l’autorizzazione da parte di agenzie e enti regolatori come la Food and Drug Administration (FDA) negli Usa, l’Agenzia europea dei medicinali (EMA) in Europa e l’Agenzia italiana del farmaco in Italia (AIFA), il problema sarà infatti quelli di organizzare la somministrazione.

Oltre alle categorie maggiormente esposte al rischio contagio, come il personale medico, gli infermieri e gli operatori sanitari, i Governi dovranno dunque definire a quali fasce di popolazione destinare le prime dosi. Secondo quanto anticipato dal Ministro della Salute Roberto Speranza, al momento della distribuzione, in Italia saranno a disposizione 2-3 milioni di dosi che in primis dovrebbero essere destinate agli anziani con patologie, in particolare nelle Rsa. Ma è davvero questa la strategia che premierà il nostro Paese e permetterà di raggiungere l’immunità di gregge? O sarebbe meglio destinare le prime dosi ai più giovani prima di trattare gli adulti più avanti con l’età?

Vaccino Covid-19, prima ai giovani o agli anziani?

A complicare quello che, in attesa di una formulazione che si dimostri efficace, rappresenta probabilmente uno dei più grandi dilemmi di questa pandemia, uno degli elementi che sta rendendo l’infezione da coronavirus Sars-Cov-2 particolarmente subdola e insidiosa, vale a dire l’alto numero di asintomatici specialmente tra i più giovani che, in assenza di manifestazioni cliniche, contribuiscono a diffondere il virus nella comunità. Si potrebbe quindi pensare di destinare le prime dosi a bambini e ragazzi, così da proteggere in modo più efficace il resto della popolazione. Una strategia che, ad esempio, ha portato i Centers for Disease Control and Prevention, l’organismo statunitense di controllo della salute pubblica a raccomandare la vaccinazione stagionale contro l’influenza per tutti i bambini di età pari o superiore ai 6 mesi.

Proprio questa indicazione sta influenzando i ricercatori che oggi stanno cercando di capire a chi dovranno essere somministrate le prime dosi di vaccino se, come prevedono gli esperti, uno o più formulazioni saranno approvate nei prossimi mesi. “Quando arriverà il vaccino, trascorrerà del tempo affinché la vaccinazione permetta di controllare la pandemia” ha affermato Molly Gallagher, ricercatrice della Emory University di Atlanta, in Georgia, e autrice principale di un preprint sulla distribuzione del vaccino. “In questo lasso di tempo, quello che ci chiediamo è: possiamo in qualche modo migliorare gli effetti della vaccinazione, cioè ridurre la mortalità e la trasmissione del virus, dando la priorità a precise fasce di popolazione?”.

A chi destinare le prime dosi?

Per poter arrivare a definire quale sia la migliore strategia, dicono gli studiosi, è necessario innanzitutto individuare quali sono gli scenari che si possono verificare. Laura Matrajt del Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle e i suoi colleghi hanno affrontato la questione in un altro preprint che modella quattro possibili situazioni nell’arco di un anno: minor numero di morti, minor numero di infezioni sintomatiche e, al loro picco, minor numero di ricoveri non in terapia intensiva e minor numero di accessi in terapia intensiva.

Gli studiosi hanno osservato come queste variabili vengano modificate dall’efficacia del vaccino stesso e dal numero di dosi disponibili, individuando che vaccinare prima le persone più anziane ridurrà al minimo la mortalità, a meno che il vaccino non abbia un’efficacia inferiore al 50% e che ci siano dosi sufficienti per coprire circa la metà della popolazione. Al contrario, vaccinare prima i gruppi ad alta trasmissione – nel loro modello, bambini e adulti di età compresa tra 20 e 50 anni – comporterebbe un minor numero di morti complessive. “Se un vaccino efficace al 60% sarà disponibile per il 30% della popolazione – calcolano gli studiosi – ci troveremmo davanti a un bivio: somministrarlo ai giovani ridurrebbe al minimo le infezioni sintomatiche e i ricoveri non in terapia intensiva, mentre somministrarlo agli anziani ridurrà al minimo i ricoveri in terapia intensiva e i decessi”.

In altre parole, la migliore strategia dipende non solo dalla disponibilità del vaccino ma dall’efficacia stessa del vaccino. In ogni caso, per raggiungere l’immunità di gregge “non servirà un vaccino perfetto” ha commentato Eric Toner, autore principale delle Linee guida della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health per la distribuzione del vaccino negli Usa. Prima di poter dire chi e quante persone dovranno essere vaccinate, dovremo quindi sapere “quanto è buono il vaccino” . Più sarà efficace, meno persone ne avranno bisogno, e sulla base di questi presupposti, gli effetti della vaccinazione nella comunità dipenderanno da come verranno distribuite le dosi iniziali.

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