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Uno studio infetterà di nuovo i giovani guariti con il coronavirus: ecco perché

La nuova sperimentazione umana nel Regno Unito servirà a studiare la risposta immunitaria necessaria a proteggere dalla reinfezione. I volontari, di età compresa tra i 18 e i 30 anni, verranno in parte rimborsati e, in seguito alla nuova infezione, trattati con anticorpi monoclonali.
A cura di Valeria Aiello
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Il Regno Unito è pronto a lanciare un nuovo controverso progetto di ricerca per studiare la risposta immunitaria necessaria a proteggere dalla reinfezione da Sars-Cov-2. L’annuncio è arrivato direttamente dai ricercatori dell’Università di Oxford che hanno ricevuto l’approvazione del comitato etico degli studi clinici per un nuovo “Human Challenge Trial”, una sperimentazione umana che coinvolgerà persone già contagiate dal nuovo coronavirus. I partecipanti allo studio, che saranno reclutati nelle prossime due settimane, dovranno avere un’età compresa tra i 18 e i 30 anni, essere sani e aver avuto un’infezione da Sars-Cov-2 almeno tre mesi prima della sperimentazione. Dovranno inoltre documentare di aver avuto un test Covid positivo e aver sviluppato gli anticorpi contro il virus.

Reinfettare i giovani già guariti da Covid-19

La prima fase dello studio, che inizialmente coinvolgerà 24 giovani divisi in gruppi di dosaggio da tre a otto persone, riesporrà i guariti al patogeno, sulla base di un programma che partirà con una quantità di virus molto bassa e, se necessario, aumentando la dose in esposizioni successive. “Il nostro obiettivo è quello di avere il 50% dei partecipanti nuovamente infetti ma senza lo sviluppo, o uno sviluppo molto lieve, della malattia – ha affermato la vaccinologa Helen McShane, ricercatrice dell’Università di Oxford a capo dello studio – . L’intento è quello di determinare quale tipo di risposta immunitaria impedisce la reinfezione”.

Lo studio è il secondo esperimento lanciato nel Regno Unito che coinvolge volontari che vengono infettati deliberatamente con il coronavirus dopo quello guidato dai ricercatori dell’Imperial College di Londra per verificare qual è la quantità minima di virus che determina l’infezione. McShane ha affermato che il team di ricerca misurerà i livelli dei vari componenti della risposta immunitaria dei partecipanti, inclusi i linfociti T e gli anticorpi, esaminando se e quando i partecipanti vengono reinfettati.

Considerati i criteri di tempistica (precedente infezione almeno 3 mesi prima dello studio), gli studiosi ritengono probabile che la maggior parte dei partecipanti sia stata già infettata dal ceppo originario del virus, pertanto per l’esperimento verrà utilizzato questo stesso ceppo di Sars-Cov-2. Una volta determinata la dose necessaria a reinfettare la metà dei primi 24 volontari, questa stessa quantità verrà somministrata ad altri 10-40 volontari per confermare la dose.

Nella seconda parte dello studio, prevista in estate, verrà poi arruolato un nuovo gruppo di partecipanti e analizzata la risposta immunitaria prima e dopo l’esposizione al virus, nonché la quantità di virus e i sintomi manifestati da coloro che saranno reinfettati. In seguito alla reinfezione o alla comparsa di sintomi, ai partecipanti verrà somministrato un trattamento anti-Covid con anticorpi monoclonali. I volontari riceveranno anche un rimborso di poco meno di 5mila sterline (circa 5.800 euro) per la partecipazione allo studio completo, in considerazione del fatto che dovranno rimanere in quarantena per almeno 17 giorni e essere seguiti per 12 mesi.

Riuscire a stabilire il livello di risposta immunitaria al di sopra della quale un individuo non può essere infettato può aiutarci a determinare se i nuovi vaccini saranno efficaci senza dover necessariamente testarli in studi di efficacia di fase tre” ha concluso McShane, indicando che futuri Human Challenge Trial potrebbero verificare lo stesso livello di risposta in merito alla protezione dal contagio di una variante del virus diversa da quella che ha causato la prima infezione.

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