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Un paziente Covid su tre manifesta disturbi neurologici o psichiatrici dopo la guarigione

Lo rileva il più grande studio finora condotto sulla salute mentale dei guariti: ansia e disturbi dell’umore sono le diagnosi più comuni a sei mesi dall’infezione. Meno frequenti ictus e demenza ma non tra chi ha sviluppato una forma grave di Covid.
A cura di Valeria Aiello
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A sei mesi dalla diagnosi di Covid-19, un guarito su tre manifesta disturbi neurologici o psichiatrici, con rischi maggiori per i pazienti ospedalizzati, ma anche chi non ha avuto necessità di un ricovero ha comunque avuto problemi legati alla depressione. Lo rileva il più grande studio finora condotto sulla salute mentale dei guariti, i cui risultati sono un’ulteriore conferma che si aggiunge alle crescenti evidenze di problemi cognitivi e comportamentali a breve e lungo termine legati all’infezione da coronavirus.

Complessivamente, l’incidenza di condizioni patologiche a carico del sistema nervoso è stata del 34%, con il 13% dei guariti che ha ricevuto per la prima volta una diagnosi neurologica o psichiatrica. Il rischio di manifestare disturbi a lungo termine è risultato maggiore nei pazienti che hanno sviluppato una forma grave di Covid-19, in modo marcato tra coloro che hanno richiesto il ricovero in terapia intensiva (46%) o avevano sviluppato encefalopatia (62%) in seguito all’infezione. Quasi il 7% dei pazienti ricoverati in terapia intensiva ha avuto un successivo ictus, il 2,7% un’emorragia cerebrale e quasi il 2% ha sviluppato demenza rispetto all’1,3%, 0,3% e 0,4%, rispettivamente, dei pazienti non ricoverati. Nel complesso, ansia (17%) e disturbi dell’umore (14%) sono state le diagnosi più comuni.

Abbiamo anche valutato la probabilità di esiti neurologici e psichiatrici nei pazienti con diagnosi di Covid-19 rispetto alle coorti corrispondenti con diagnosi di altre infezioni del tratto respiratorio e di influenza” aggiungono gli autori dello studio che hanno confrontato i dati delle cartelle cliniche elettroniche di 236.379 pazienti Covid-19 con quelli di altre due gruppi di controllo non-Covid che comprendevano 236.038 pazienti con diagnosi di infezione delle vie respiratorie (inclusa l’influenza) e 105.579 pazienti con diagnosi di influenza, osservando che il rischio di esiti neurologici o psichiatrici era nel complesso del 44% più alto nel post-Covid rispetto all’influenza e del 16% più alto rispetto a un’infezione delle vie respiratorie.

I dati, pubblicati nel dettaglio sulla rivista The Lancet Psychiatry, hanno indicato un chiaro effetto dell’infezione da coronavirus nelle successive diagnosi neurologiche e psichiatriche a sei mesi, il cui impatto può essere “considerevole per i sistemi sanitari a causa della portata della pandemia, ha osservato il professor Paul Harrison dell’Università di Oxford (Regno Unito) e autore principale dello studio. Soprattutto perché molti di questi disturbi sono “cronici”, sottolineando l’importanza di fornire ai sistemi sanitari le risorse necessarie per far fronte a questi bisogni.

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