Un Neanderthal a Roma, 250.000 anni fa
I resti dei due uomini di Saccopastore vennero scoperti a partire dal 1929 nella località di campagna che diede il nome al reperto, in prossimità del fiume Aniene lungo la via Nomentana (oggi periferia nord-orientale di Roma). Gli scavi effettuati quell'anno e nel 1935 portarono alla luce due crani di Homo neanderthalensis che, secondo le indagini effettuate all'epoca, sarebbero vissuti circa 125.000 anni fa: questo ne faceva la più antica testimonianza di uomo di Neanderthal in Italia. Poi, qualche mese fa, gli esami effettuati sull'uomo di Altamura hanno consentito di stabilire che il più antico Neanderthal di cui si avesse traccia doveva essere vissuto in Puglia circa 150.000 anni fa.
Una nuova datazione
Adesso, grazie ad una nuova metodologia di indagine geologica che si basa sullo studio delle variazioni del livello del mare durante le ere glaciali, con conseguente osservazione delle conseguenze sui processi di deposizione dei sedimenti fluviali, è stata effettuata una revisione relativa all'età del sito di Saccopastore. Lo studio è opera di un gruppo di geologi, geocronologi, paleontologi e paletnologi coordinato dall'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, in collaborazione con l’Università di Roma La Sapienza e l’Università di Madison-Wisconsis; i dettagli sono stati pubblicati da Quaternary Sience Reviews.
Come spiegato da Fabrizio Marra, ricercatore presso l'INGV e principale autore dello studio, i resti di Saccopastore sarebbero più vecchi di oltre 100.000 anni: questo significa che la comparsa del Neanderthal in Italia andrebbe spostata indietro fino a 250.000 anni fa e sarebbe, quindi, contemporanea a quella già riscontrata in Europa centrale, laddove vennero rinvenuti i primi resti attribuiti a questa specie di ominide.
Studi stratigrafici
I crani di Saccopastore vennero ritrovati in depositi sedimentari attribuiti all'ultimo stadio interglaciale avvenuto 125.000 anni fa, chiamato Tirreniano, fase che precede l'ultima glaciazione. Impossibile tornare oggi sul luogo del ritrovamento per osservare la stratigrafia evidenziata all'epoca della scoperta dei reperti, a causa delle modifiche antropiche apportate all'area: la cava di ghiaia fluviale dove si trovavano, lungo la sponda dell'Aniene, è stata successivamente sepolta per costruire gli edifici che costeggiano la Tangenziale Est. Eppure sono stati proprio i tagli per la costruzione della strada che hanno permesso di portare alla luce i terreni circostanti l'area di Saccopastore nonché i rapporti tra sedimentazione e variazioni nel livello del mare durante le fasi di glaciazione della regione.
Grazie alle datazioni radiometriche sui livelli vulcanici, i ricercatori hanno dimostrato che lo strato Tirreniano dell'area romana si trova ad un livello più alto, rispetto ai depositi dove furono trovati i crani che, quindi, corrispondono al penultimo stadio interglaciale di oltre 200.000 anni fa; anzi, trovandosi i reperti di Homo Neanderthalensis in corrispondenza della prima fase di deposizione del ciclo sedimentario, si può concludere che risalgano a circa 250.000 anni fa.
Un Neanderthal semplicemente più antico (e non primitivo)
Tale evidenza sarebbe suffragata anche dalle nuove indagini sui reperti fossili e sulle industrie litiche preistoriche rinvenute assieme ai resti umani ormai oltre ottant'anni fa. In effetti, già in passato gli antropologi avevano osservato che alcune caratteristiche dell'uomo di Saccopastore ne facevano un Neanderthal piuttosto primitivo: lo studio quindi conferma scientificamente quello che era già un concreto sospetto.
Lo sviluppo degli studi sui caratteri geologici dell'area romana, che ha avuto grande impulso negli ultimi quindici anni dalle ricerche condotte dall'INGV attraverso collaborazioni interdisciplinari con studiosi italiani e internazionali, ha permesso di acquisire nuovi metodi di indagine ed elementi che hanno notevolmente accresciuto le conoscenze scientifiche su quest'area. La nuova età dell'uomo di Neanderthal in Italia ne è una diretta conseguenza. – Fabrizio Marra.