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Tre luoghi della Terra dove potete vedere l’inferno

O, meglio, dove si trovano le “porte di ingresso per l’aldilà”.
A cura di Nadia Vitali
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Derweze, Turkmenistan.
Derweze, Turkmenistan.

Che si trovasse al di sopra delle nostre teste o al di sotto dei nostri piedi, spesso l'uomo ha immaginato l'aldilà come una sorta di "luogo fisico". Certo, con delle caratteristiche infinitamente differenti ma pur sempre riconducibili alle nostre categorie concettuali di spazio e tempo: una sorta di "semplificazione" che aiuta a ragionare sull'incommensurabile. E così, in qualche caso, alcuni popoli avrebbero addirittura individuato delle "porte" dalle quali era possibile accedere al Regno delle Ombre nelle quali, occasionalmente, anche qualche vivente era riuscito ad introdursi, naturalmente con deroga eccezionale, in virtù di una grande eroicità o di una immensa missione da portare a termine.

Il Lago d'Averno

Il Lago d'Averno in una rappresentazione del 1814–1815.
Il Lago d'Averno in una rappresentazione del 1814–1815.

Una delle più celebri porte degli inferi dell'antichità, senza dubbio, era quella collocata presso il Lago d'Averno di Pozzuoli. Un cratere vulcanico spento il cui nome deriva dal greco e ne designa già le inquietanti caratteristiche: Averno, infatti, indicava l'assenza di uccelli sullo specchio d'acqua presumibilmente dovuta alle esalazioni di gas che potevano causarne la morte (ancora oggi, ciclicamente, qualche "movimento" proveniente dal vulcano sottostante causa morie improvvise dei pesci che nuotano al suo interno). Insomma un luogo che, a dispetto del suo aspetto incantevole, tranquillo e circondato da lussureggiante vegetazione, aveva tutte le carte in regola per apparire come la porta dell'Ade. E infatti proprio in questo docile laghetto i greci prima e i romani poi videro l'ingresso del Regno dei morti: e qui venne Enea, nel corso del suo lungo viaggio che dall'Asia Minore lo portò fino alle sponde del Lazio dove avrebbe fondato la Città Eterna, il quale nel discendere negli inferi rivide l'amato padre Anchise e fu presentato agli uomini che avrebbero fatto grande Roma.

Benché manchino riferimenti precisi come quelli dati da Virgilio, secondo alcune interpretazioni (più in voga nel XIX secolo) lo stesso Ulisse si sarebbe servito proprio di quella bocca per la proprio visita all'Ade: in realtà cercare delle tracce geografiche in un racconto epico di tremila anni fa, qualora non vengano indicate in maniera esplicita, è impresa faticosa e decisamente sterile dal momento che nulla aggiungerebbe alla bellezza dell'opera d'arte, a meno che non stiate realmente cercando un ingresso infernale in terra. In realtà la religione greca ne prevedeva diversi: l'aspetto fondamentale era che questi veri e propri luoghi fisici dovevano essere segreti o, comunque, di difficile accesso, impervi, praticamente pericolosi al punto che chi ci si avventurava incautamente periva.

Hierapolis

Anche l'Asia Minore, quindi, poteva vantare il proprio varco per l'aldilà il quale doveva trovarsi nella città di Hierapolis, nei pressi della odierna Pamukkale. La sua scoperta è relativamente recente e porta la firma degli archeologi italiani dell'università del Salento: lì, nei pressi delle immancabili sorgenti naturali di acque termali, era collocato un Ploutonion, ossia una porta dell'inferno la quale, probabilmente, poteva essere stata anche meta di pellegrinaggio. Una dedica alla divinità che sovraintendeva al Regno dell'oltretomba non lasciava spazio ai ricercatori in merito alle finalità del luogo: anche lì, del resto, le esalazioni provenienti dalla terra sono causa di morte dei volatili che incautamente si avvicinano troppo. All'epoca della campagna di scavo del 2012, infatti, è stata proprio la presenza di alcuni uccellini morti a persuadere gli archeologi ancor più di essersi trovati dinanzi alla bocca dell'inferno citata dal geografo Strabone.

Ricostruzione di come doveva apparire il Ploutonion (foto di Francesco D'Andria)
Ricostruzione di come doveva apparire il Ploutonion (foto di Francesco D'Andria)

Insomma, nell'antichità mediterranea la fuoriuscita di gas era un segnale quasi inequivocabile: ecco perché diverse altre zone vennero elette come aperture verso il mondo sotterraneo: ad Eleusi nella Grecia Attica, ad esempio; oppure, ancora secondo Strabone, sempre in Asia Minore, in un santuario posto su una collina tra Nysa e Tralles (oggi provincia di Aydın)

Derweze

Il luogo decisamente più infernale che l'occhio umano possa vedere, però, si trova in Turmenistan, nel deserto di Karakum: laddove la natura lascia senza fiato, l'uomo immagina che inizi il confine con il soprannaturale; o, quanto meno, lascia impressa nella toponomastica l'impressione di vivo stupore e meraviglia che prende dinanzi allo spettacolo della potenza degli elementi.

La porta dell'inferno in Turkmenistan (foto di Tormod Sandtrov)
La porta dell'inferno in Turkmenistan (foto di Tormod Sandtrov)

Un inferno letteralmente "creato dall'uomo", dato che è il frutto di un incidente avvenuto nel 1971 quando una perforazione il cui scopo era la ricerca di petrolio creò questa apertura divenuta immediatamente una via di fuga per il gas contenuto nel giacimento sottostante. All'epoca si pensò di incendiare direttamente il gas per evitare le peggiori conseguenze e, da allora, questo cratere arde ininterrottamente, ricordandoci quale potenza si cela al di sotto di quella fragile superficie che è la terra: e questo, in fondo, gli antichi lo avevano capito benissimo.

[Foto in apertura da Wikipedia]

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