Sulla legge 40 e la questione della legittimità costituzionale
È di ieri la notizia che il tribunale di Roma ha sollevato la questione di costituzionalità in merito al divieto per le coppie fertili di accedere alla procreazione assistita: la legge 40, così, si ritrova davanti alla Consulta dopo la già pesante bocciatura da parte della Corte Europea di Strasburgo che, nell'agosto del 2012, aveva sentenziato a proposito delle contraddizioni insite nella legislazione italiana in materia di fecondazione, condannando inoltre il nostro Paese al pagamento di un risarcimento alla coppia che aveva fatto ricorso.
Il caso
Cosa è accaduto adesso? Una coppia portatrice di distrofia muscolare di Becker (malattia genetica che comporta la degenerazione delle fibre muscolari) si è vista costretta all'interruzione di una gravidanza spontanea giunta alla dodicesima settimana, dopo aver riscontrato l'evidenza della trasmissione della patologia al feto. Una volta appreso successivamente che era possibile eseguire un'indagine diagnostica prima del trasferimento dell'embrione nell'utero, la coppia ha deciso di rivolgersi ad una struttura pubblica autorizzata ad eseguire tecniche di fecondazione assistita: proprio in questa sede è nato il caso, poiché la legge 40 prevede l'accesso a tali tecniche esclusivamente per le coppie infertili. Da qui la scelta di rivolgersi all'Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica, chiedendo sostegno ed aiuto per far rispettare i propri diritti. E se il tribunale di Roma ha emesso ordinanza confermando la liceità della diagnosi preimpianto per il caso, è entrato anche nello specifico in merito all'accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita vietate alle coppie fertili.
Incoerenza e violazioni degli articoli costituzionali
Con la sentenza del 2012, la Corte europea aveva già posto in risalto l'incoerenza normativa del sistema italiano che, se da una parte pone limiti e divieti seri per quanto riguarda la diagnosi preimpianto, dall'altra consente, con la legge 194, il ricorso all'aborto terapeutico. Nell'ultimo caso, il Tribunale di Roma, nella figura del giudice Filomena Albano, ha sollevato il dubbio di legittimità costituzionale poiché l'impossibilità di accesso alle tecniche di fecondazione assistita medicalmente per le coppie fertili ma portatrici di patologie genetiche violerebbe l'articolo 2 della Costituzione, in merito al diritto di autodeterminazione nelle scelte procreative, e l'articolo 32, sotto il profilo della tutela della salute dell'individuo. Ma la violazione riguarda anche l'articolo 3 nel principio di uguaglianza: infatti, chi è infertile e con malattie genetiche ha il diritto di sottoporsi ad indagine preimpianto; viceversa, chi è fertile e sa di esser portatore di malattie genetiche a causa della legge 40 non può sottoporsi a tali esami; tuttavia può, in una fase successiva, sottoporsi ad un aborto che nella fattispecie potrebbe essere evitato, sollevando anche i pazienti dal carico emotivo, oltre che sanitario, che tale pratica comporta. Insomma, ad essere penalizzate sono le scelte personali, l'uguaglianza ma anche il diritto al rispetto della vita privata e familiare della coppia (articolo 8 della Corte EDU) e il divieto di discriminazione (articolo 14 della Corte EDU), come già evidenziato dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo a Strasburgo per il caso precedente.
Il pronunciamento della Consulta
Il diritto per una coppia «non sterile in senso tecnico» di avere accesso alla diagnosi preimpianto era stato già sancito attraverso una sentenza del tribunale di Salerno del 9 gennaio 2010, la quale disponeva l’esecuzione dell’indagine diagnostica preimpianto dell’embrione e il trasferimento in utero degli embrioni che non presentassero mutazioni genetiche. Dopo la Corte europea, il caso del Tribunale di Roma porta la questione dinanzi alla Corte Costituzionale: adesso bisognerà aspettare fino all'8 aprile, quando il pronunciamento della Consulta potrebbe finalmente rendere estendibile a tutti i casi l'evidenza dell'incompatibilità della legge 40 con la Costituzione. E chissà che non si tratti dell'inizio di una svolta definitiva (che considerando gli italici tempi, sarà comunque lentissima), dal momento che la legge 40 compirà il mese prossimo i suoi primi dieci anni di vita, durante i quali ha richiesto l'intervento dei tribunali in ben 28 casi.
Del resto, guardando a questo decennio trascorso, la legge 40, con i suoi vincoli restrittivi al massimo, ha dimostrato in numerose occasioni i propri limiti profondissimi: a parte che l'impossibilità per i medici di adattare ai casi la fecondazione in vitro, comporta spesso l'insuccesso della stessa, c'è anche un problema di natura etica. Il fatto che molte coppie siano costrette a rivolgersi a strutture sanitarie estere, dove le restrizioni sono meno forti, contribuisce infatti ancor più a creare disuguaglianze. Certo, si potrebbe ribattere ricordando come nel 2005 il quorum non venne raggiunto in sede del referendum abrogativo della legge: ma forse allora i tempi non erano ancora maturi perché una parte consistente del Paese comprendesse quanti limiti pone una legge come quella attuale, ai diritti degli individui, alla serenità delle famiglie, alla ricerca scientifica. Magari, quindi, è forse il caso di sperare che questa volta le troppe contraddizioni della legge 40 potrebbero finalmente andare incontro ad una soluzione definitiva.