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Stiamo diventando più intelligenti… o più stupidi?

Incertezza nella comunità scientifica sul cosiddetto “effetto Flynn” secondo cui il QI mondiale aumenterebbe di tre punti al decennio.
A cura di Roberto Paura
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cervello_intelligenza

Se Leonardo Da Vinci potesse sedersi oggi in un’aula di una quinta elementare e frequentare qualche lezione di scienze, si troverebbe suo malgrado ad ammettere che un bimbetto italiano di 10 anni possiede nel 2012 maggiori cognizioni scientifiche di quante ne avesse lui a cinquant’anni suonati. Questo non vuol dire però che i bambini di dieci anni siano più intelligenti di quanto fosse Leonardo. Se da un lato infatti lo straordinario accumularsi di conoscenze sulla natura, l’universo, la meccanica, la società in cui viviamo danno l’impressione di un aumento impressionante della quantità di cose che sappiamo o che potremmo sapere, dall’altra l’essere umano medio non necessariamente riesce a stare al passo con queste conoscenze. E sempre più abbiamo il sospetto, anche solo uscendo per strada, che dopotutto i nostri simili non stanno diventando affatto più intelligenti. Anzi. Un sospetto che condivide anche la comunità scientifica, che sta cercando di capire se l’umanità è destinata a diventare più intelligente o più stupida nel corso dei prossimi secoli e (auspicabilmente) millenni.

Più intelligenti dei nostri genitori

Test d'intelligenza

Dall’inizio del secolo scorso a oggi, il quoziente intellettivo medio della popolazione umana è aumentato a un ritmo costante di 3 punti al decennio ossia 0,3 punti l’anno. La scoperta fu opera di un ricercatore americano, James R. Flynn, negli anni ’70, e fu confermata dalle analisi statistiche dei decenni successivi. Il cosiddetto “effetto Flynn” sembra dunque essere la dimostrazione di un aumento delle nostre capacità intellettive con l’andare degli anni. In media, i bambini di oggi hanno un QI di 10 punti più elevato dei loro genitori. La cosa che però ha sorpreso gli scienziati è che questa crescita di 0,3 punti l’anno è costante e non mostra né rallentamenti né accelerazioni. Tanta regolarità appare sospetta. Per capire il perché, basta capire come funziona un test di misurazione del QI. Tutti noi ne avremmo svolti alcuni e sappiamo che riguardano sequenze numeriche, ricerca di sinonimi di vocaboli poco comuni e analogie tra concetti astratti. Ebbene, mentre nelle prime due categorie i risultati dei test non sono migliorati nel tempo, nell’ultimo caso sì.

Test d'Intelligenza (2)

Sembra che gli esseri umani di oggi siano più bravi a ragionare per concetti astratti. La nostra società è diventata meno legata a realtà concrete: non dobbiamo cacciare animali per mangiarceli, li andiamo a comprare già pronti al supermarket. Eppure sappiamo che la carne che mangiamo non cresce nei supermarket: questa conoscenza dipende dalla nostra capacità di ragione per astrazioni. Se non possedessimo queste capacità, sostengono oggi i ricercatori, non saremmo in grado di gestire il mondo moderno. A partire dalla rivoluzione industriale, la nostra vita ha avuto a che fare con concetti sempre meno concreti: la finanza, l’informatica, l’elettromagnetismo, la teoria della relatività, ma anche cose come sfiorare un pulsante su uno schermo touchscreen.

Più veloci, più astratti e più stupidi?

Analogamente, sta aumentando la nostra velocità di risposta alle domande di un test QI. Il nostro cervello sta diventando più veloce perché siamo costantemente bombardati da stimoli che necessitano di risposte rapidissime. Pensiamo a quando guidiamo in una città trafficata dove magari gli autisti non sono troppo disciplinati: una distrazione di meno di un secondo potrebbe farci andare a sbattere contro un altro veicolo. All’aumentare della velocità dei computer aumenta la rapidità della nostra risposta di reazione, e allo stesso tempo migliora il nostro multitasking, che ci consente di portare avanti diverse attività contestualmente. Una persona di sessant’anni oggi avrebbe serie difficoltà a giocare a videogiochi molto complessi come quelli attuali che invece un ragazzino di tredici anni affronta senza troppe difficoltà: i videogames hanno un ruolo molto importante nello stimolare la capacità di astrazione e la velocità di reazione delle giovani generazioni, sia perché si ambientano in scenari slegati dalla realtà concreta dove magari esistono regole diverse, che quindi impongono all’utente l’uso di categorie analogiche, sia perché richiedono azioni molto veloci (per esempio una partita a calcio su un simulatore).

Videogames e intelligenza

Tutto ciò però potrebbe non tradursi in un reale vantaggio evolutivo. Anzi, come dimostrerebbe una ricerca appena pubblicata su Trends in Genetics, la specie umana è oggi meno intelligente di quanto fosse decine di migliaia di anni fa, quando i nostri antenati cacciavano, raccoglievano e iniziavano i primi esperimenti di agricoltura. Lo sviluppo dell’intelligenza a livello evolutivo ha permesso all’essere umano di primeggiare sui suoi predatori e pian piano di diffondersi in tutto il mondo: ci ha portati a diventare da scimmie a esseri che parlano, costruiscono e utilizzano strumenti per migliorare la loro vita. Ma da allora non abbiamo acquisito ulteriori vantaggi evolutivi, anzi: la maggior parte degli esseri umani oggi non sopravvivrebbe in un contesto come quello dell’Africa dei Grandi Laghi, dove la nostra specie ha iniziato a evolversi. Secondo Gerald Crabtree, ricercatore alla Stanford University e autore dell’articolo, “un cacciatore-raccoglitore che non trovava una giusta soluzione per procacciarsi il cibo e ottenere un riparo probabilmente moriva, insieme alla sua progenie, laddove un moderno funzionario di Wall Street che facesse simili errori riceverebbe un bonus e diventerebbe più attraente come potenziale partner”. Certo, chiarisce Crabtree, “la selezione estrema è una cosa del passato”, però non sembra che la nostra capacità di giocare a scacchi o scrivere una sinfonia ci abbia resi più abili dei nostri antenati. Sono due tipi diversi di intelligenza, quindi: solo il futuro potrà dirci quale delle due garantirà alla nostra specie di perdurare nei secoli.

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