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Sessantaquattro anni dopo la morte del Mahatma Gandhi

Era il 30 gennaio del 1948 quando un fanatico induista uccise il Mahatma Gandhi, una delle figure più influenti del XX secolo. Una marcia di circa 500 bambini vestiti come lui ha ricordato, a Calcutta, il sessantaquattresimo anniversario della morte della “grande anima” indiana.
A cura di Nadia Vitali
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Era il 30 gennaio del 1948 quando un fanatico induista uccise il Mahatma Gandhi, una delle figure più influenti del XX secolo. Una marcia di circa 500 bambini vestiti come lui ha celebrato, a Calcutta, il sessantaquattresimo anniversario della morte della grande anima indiana.

Il messaggio di amore, di pace, la sconvolgente forza della non violenza, la rivoluzione portata in tutto il mondo dalle parole e dai pensieri del Mahatma Gandhi: tutto quello che quell'umile ed esile uomo ha significato per il nostro tempo si è saldamente ancorato nei cuori di quanti hanno compreso il senso profondo dei suoi insegnamenti. La morte del suo corpo non ha significato la morte della «grande anima» di Gandhi, poiché la sua essenza ha valicato i confini imposti dallo spazio e dal tempo e quello che ha lasciato in eredità agli esseri umani è stato quanto di più prezioso si possa immaginare.

Il valoroso coraggio delle sue azioni di protesta, della sua volontà di denuncia, la costante ricerca di verità unita al rifiuto di ogni tipo di aggressione: chiunque oggi sia impegnato a combattere pacificamente per i diritti civili, chiunque si schieri con i più deboli, i sofferenti, gli ultimi tra gli ultimi che non hanno diritto ad avere una voce, sta portando dentro di sé un piccolo pezzo del Bapu (parola hindi che significa "padre" con cui i cuoi connazionali erano soliti appellarlo); dalle grandi personalità che hanno mutato il corso della storia, a ciascun singolo fervente attivista, per tutti il Mahatma Gandhi è stato una guida.

Come fu una guida spirituale per il proprio intero paese; straordinario nel suo essere, allo stesso tempo, contemplativo e combattivo, riflessivo e tenace, nel coniugare alla vita ascetica un'attività politica intensa, irrefrenabile. La luce che fu per la sua gente servì a tutti per aprire gli occhi sulle atroci vessazioni che subiva da secoli l'India, territorio britannico fino alla agognata indipendenza, il 15 agosto del 1947. Il suo amore per l'umanità e per la libertà di ciascuno (definirlo pacifismo sembrerebbe, ormai, assolutamente riduttivo) fu alla radice della sua tragica morte: Nathuram Godse, colui che gli sparò contro tre colpi di pistola, era un fanatico induista preoccupato per i «cedimenti» del Mahatma alla fazione musulmana.

La verità è che la «grande anima» dell'India guardava ad un paese in cui le minoranze fossero perfettamente in grado di convivere pacificamente senza che alcun sopruso o violenza venisse consumato in nome di un'etnia, di una bandiera, di una religione. La divisione tra India e Pakistan, fortemente voluta dalla Gran Bretagna, fu accolta amaramente da Gandhi che scelse di non partecipare ai festeggiamenti per l'indipendenza e che digiunò, pochi giorni dopo, in segno di protesta contro i violenti scontri religiosi che erano seguiti alla separazione in due stati. Ormai affranto dagli eventi, auspicava la morte come una liberazione dalle atrocità che vedeva attuarsi nel proprio paese: che giunse il 30 gennaio del 1948 tra le mani armate di un fanatico induista, mentre, a New Delhi, si recava alle 17 in giardino per la preghiera.

Un intero paese abbandonato a sé stesso pianse le spoglie del Bapu istituendo un giorno festivo, il 2 ottobre, per commemorarne la nascita; anche la sua morte è oggetto di celebrazioni nazionali. Quest'anno una sfilata di circa cinquecento bambini, tutti travestiti da Mahatma Gandhi, ha portato per le strade di Calcutta la memoria di uno degli uomini che più di tutti hanno mutato il corso della storia, ricordando l'episodio della marcia del sale.

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