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Scoperti tre motivi per cui Covid-19 porta a saturazione di ossigeno bassa senza sintomi apparenti

A indicarli è un gruppo di ricercatori della Boston University che insieme ai colleghi dell’Università del Vermont ha descritto come sia fisiologicamente possibile che si instauri la cosiddetta “ipossia silenziosa”, la condizione determinata dalla carenza di ossigeno nel sangue senza che i pazienti mostrino mancanza di respiro o difficoltà respiratorie.
A cura di Valeria Aiello
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Tra gli aspetti che rendono l’infezione da coronavirus subdola e particolarmente insidiosa, quello della cosiddetta ipossia silenziosa, la condizione determinata da un’anormale diminuzione della concentrazione di ossigeno nel sangue che può instaurarsi senza che i pazienti mostrino la sintomatologia che normalmente accompagna questo disturbo, come mancanza di respiro o difficoltà respiratorie. Si tratta dunque di una condizione che, se non rilevata in tempo, può determinare danni irreparabili agli organi vitali.

Nonostante livelli di ossigeno particolarmente bassi, una parte dei pazienti che sviluppa forme gravi di Covid non mostra i sintomi dell’ipossia, ed è per questo che questa condizione è stata denominata silenziosa” precisa in una nota un gruppo di ingegneri biomedici della Boston University che in collaborazione con i colleghi dell’Università del Vermont ha voluto comprendere come fosse fisiologicamente possibile l’ipossia i assenza di sintomi apparenti e quali siano le ragioni che portano all’instaurarsi di questa condizione. In tal senso, i ricercatori hanno utilizzato un modello computazionale per testare tre diversi scenari che aiutassero a spiegare “come e perché i polmoni smettono di fornire ossigeno al flusso sanguigno”. I risultati del loro studio pubblicati su Nature Communication rivelano che l’ipossia silenziosa è probabilmente causata da “una combinazione di meccanismi biologici che possono verificarsi simultaneamente nei polmoni dei pazienti Covid-19”.

Tre motivi che portano a ipossia silenziosa

Normalmente, i polmoni svolgono il compito vitale dello scambio di gas, ovvero quello di trasferire ossigeno nel sangue mentre inspiriamo ed eliminare l’anidride carbonica quando espiriamo. I polmoni sani mantengono un livello di ossigeno nel sangue (saturazione) compreso tra il 95 e il 100 percento: la misurazione avviene il saturimetro, uno strumento da anni in uso nella pratica clinica e che, quando all’inizio della pandemia di Covid-19 i medici hanno iniziato a osservare i primi casi di ipossia silenziosa nei pazienti, si è dimostrato particolarmente prezioso per monitorare la saturazione nei pazienti con forme più lievi di Covid e per cui non si è reso necessario il ricovero in ospedale. Livelli di ossigeno inferiori al 92 percento sono motivo di preoccupazione e possono determinare la necessità di somministrazione di ossigeno supplementare.

Ciò premesso, i ricercatori hanno voluto prima esaminare come l’infezione da coronavirus influisse sul funzionamento dei polmoni. Diversamente da quanto accade quando alcune aree polmonari non funzionano correttamente a causa dei danni determinati da un’infezione (i vasi sanguigni si restringono in quelle aree, costringendo il flusso sanguigno a non circolare nei tessuti danneggiati), i ricercatori hanno suggerito che “i polmoni di alcuni pazienti COVID-19 avessero perso la capacità di limitare il flusso sanguigno ai tessuti già danneggiati e, al contrario, stavano potenzialmente utilizzando ancora di più quei vasi sanguigni – un fenomeno difficile da vedere o misurare attraverso una TAC”. Questa ipotesi è stata verificata attraverso il modello computazionale, rivelando che “affinché i livelli di ossigeno nel sangue scendessero ai livelli osservati nei pazienti COVID-19, il flusso sanguigno avrebbe dovuto effettivamente essere molto più alto del normale nelle aree polmonari non più in grado di trasportare l’ossigeno, contribuendo così a bassi livelli di ossigeno in tutto il corpo”.

Oltre a ciò, i ricercatori hanno esaminato il modo in cui la coagulazione del sangue può influire sul flusso sanguigno in diverse regioni del polmone. “Quando le pareti dei vasi sanguigni si infiammano a causa dell’infezione da coronavirus – spiegano gli studiosi – all’interno dei polmoni possono formarsi minuscoli coaguli di sangue che sono troppo piccoli per essere visti attraverso scansioni mediche”. Utilizzando sempre il modello computerizzato dei polmoni, i ricercatori hanno osservato che questi coaguli possono determinare l’instaurarsi di ipossia silenziosa, un fenomeno che, tuttavia, da solo ritengono non sia probabilmente sufficiente a determinare una diminuzione della concentrazione di ossigeno ai livelli  come osservata nei pazienti Covid-19.

Infine, i ricercatori hanno voluto comprendere se l’infezione da coronavirus interferisse con il normale rapporto tra flusso d’aria e sangue di cui i polmoni hanno bisogno per funzionare normalmente. “Anomalie di questo tipo di rapporto sono un fenomeno che si verifica in molte malattie respiratorie, come nel caso dei pazienti asmatici, e possono essere una possibile causa dell’ipossia grave e silenziosa che è stata osservata in pazienti Covid-19”. Il modello computazionale ha inoltre indicato che, affinché questa anomalia nel rapporto aria/sangue sia una causa di ipossia silenziosa, la mancata corrispondenza deve verificarsi nelle aree del polmone che non appaiono danneggiate o anormali alle scansioni polmonari.

Nel complesso, i loro risultati dello studio hanno dunque suggerito che una combinazione di tutti e tre i fattori può essere responsabile dell’ipossia silenziosa nei pazienti Covid. “Avendo una migliore comprensione di questi meccanismi sottostanti e di come questi possano variare da paziente a paziente – concludono gli studiosi – , i medici possono fare scelte più informate sul trattamento dei pazienti utilizzando misure come la ventilazione e l’ossigeno supplementare”.

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