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Scoperta la proteina che protegge il nucleo delle nostre cellule dall’Alzheimer

La sua alterazione è correlata a diverse malattie, incluse alcune condizioni neurodegenerative, la formazione di tumori e metastasi. Fino ad oggi poco si sapeva sui meccanismi molecolari che portano alla degenerazione cellulare. L’identificazione di un gruppo di ricerca italiano.
A cura di Valeria Aiello
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Una proteina, chiamata PIN1, svolge un ruolo cruciale nel proteggere il nucleo delle nostre cellule. La sua funzione è stata osservata da un team di ricerca italiano che, in uno studio pubblicato su Cell reports, mostra come la sua riduzione sia associata all’invecchiamento precoce e alla malattia di Alzheimer.

Quando la proteina PIN1 è assente o presente in quantità ridotte, come accade nei neuroni dei pazienti colpiti da Alzheimer, il DNA perde la sua organizzazione, vengono prodotte molecole che scatenano l’infiammazione e le cellule degenerano, spiegano i ricercatori dell’Università di Trieste che hanno coordinato lo studio insieme all’Istituto di ricerca ICGEB di Trieste e dell’IFOM di Milano.

La proteina PIN1 è coinvolta nella decodifica di diversi tipi di segnali che la cellula riceve ed è implicata in molteplici processi fisiopatologici. La sua alterazione è correlata a diverse condizioni di malattia: un aumento dei livelli determina la formazione di tumori e metastasi mentre, nelle malattie neurodegerative, come l’Alzheimer, è stata osservata una riduzione di PIN1.

Guardiano del nucleo cellulare

Fino ad oggi poco si sapeva dei meccanismi molecolari che, in assenza di PIN1 o con livelli ridotti di questa proteina, portano alla degenerazione cellulare. PIN1 funziona da guardiano del nucleo cellulare, preservandone la struttura e proteggendo il DNA in esso contenuto da stress di natura meccanica. Durante l’invecchiamento, alcune disfunzioni possono portare a riduzioni significative di PIN1, causando malformazioni nel nucleo, disorganizzazione del genoma, danno al DNA e produzione di molecole che scatenano reazioni infiammatorie. Queste, a loro volta, possono condurre le cellule nervose alla degenerazione.

Diverse alterazioni nell’organizzazione del genoma e nell’attività dei geni sono associate all’invecchiamento e possono comportare danno al DNA e infiammazione, contribuendo alla degenerazione cellulare – spiega il professore Giannino Del Sal, ordinario dell’Università di Trieste e direttore del Laboratorio di “Cancer Cell Signalling” all’ICGEB di Trieste – . Tra queste alterazioni, una in particolare sta emergendo per la sua particolarità e rilevanza: l’attivazione di sequenze mobili del genoma dette trasposoni, che hanno la capacità di spostarsi all’interno del genoma cellulare danneggiando il DNA e causando quindi ulteriori problemi. È proprio l’anomala attivazione di questi elementi mobili del genoma che abbiamo osservato come prima conseguenza della mancanza o riduzione dei livelli di PIN1”.

Le malattie legate all’invecchiamento, come le malattie neurodegenerative e l’Alzheimer, hanno un impatto sempre più rilevante dal punto di vista sociale e sanitario, visto il progressivo aumento dell’età media della popolazione e la mancanza di terapie risolutive. “Questo studio – ha aggiunto Del Sal – ha portato all’identificazione di proteine la cui funzione può essere modulata farmacologicamente allo scopo di prevenire o migliorare il decorso di malattie dell’invecchiamento come l’Alzheimer. La prima è PIN1, ma abbiamo individuato anche altri possibili bersagli. L’obiettivo è ora sviluppare molecole che ne promuovano la funzione protettiva nei confronti del nucleo cellulare e verificarne l’effetto in modelli preclinici della malattia”.

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