Ritardare la seconda dose di vaccino Covid può ridurre la mortalità fino al 20%
Durante la campagna vaccinale contro il coronavirus SARS-CoV-2 alcuni Paesi hanno iniziato a ritardare la somministrazione della seconda dose, una strategia attuata per permettere al maggior numero di persone di accedere alla prima protezione – alla luce della poca disponibilità delle dosi – ma anche per migliorare l'efficacia del vaccino. È il caso del Vaxzevria di AstraZeneca, che solo in un secondo momento è risultato più efficace con una seconda dose somministrata a tre mesi di distanza dalla prima. In questi ultimi giorni il Comitato Tecnico Scientifico (CTS) per l'emergenza coronavirus ha dato il suo benestare – su parere positivo dell'Agenzia Europea per i Medicinali – di posticipare anche la seconda dose del vaccino BNT162b2/Tozinameran (nome commerciale Comirnaty) di Pfizer-BioNTech, passando dai classici 21 giorni fino a 42. Il Lazio, ad esempio, ha annunciato che somministrerà la seconda dose a 35 giorni di distanza dalla prima.
Poiché il lieve ritardo non inficia assolutamente la bontà dell'immunizzazione, secondo quanto indicato dagli esperti, in questo modo si vuol garantire una prima copertura a quante più persone possibili. Un nuovo studio dimostra che se sussistono determinate condizioni, ritardare la seconda dose (sotto i 65 anni di età) è la soluzione da privilegiare, poiché permette di ridurre i decessi provocati dalla COVID-19, l'infezione provocata dal coronavirus SARS-Cov-2. A determinalo è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati della Mayo Clinic di Rochester, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Biostatistica della Scuola di Salute Pubblica "TH Chan" dell'Università di Harvard, del Media Lab del Massachusetts Institute of Technology (MIT), dell'Università Statale dell'Arizona, del Media and Data Science Research Lab (India) e del Dipartimento di Medicina dell'Università della Pennsylvania. Gli scienziati, coordinati dal professor Thomas C. Kingsley, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver messo a punto una sofisticata simulazione basata sulle interazioni potenzialmente infettive di 100mila persone, attraverso contatti sociali, famigliari e di lavoro.
Grazie al modello il professor Kingsley e i colleghi hanno simulato diversi scenari, ad esempio valutando l'impatto di un ipotetico vaccino a mRNA (come lo Pfizer e il Moderna) efficace dal 50 al 90 percento a 12 giorni dalla prima dose, con tassi di vaccinazione giornalieri variabili, dello 0,1 percento, dello 0,3 percento e dell'1 percento. Incrociando tutti i dati è emerso che per un vaccino efficace all'80 percento dopo la prima dose, se sussiste un tasso di vaccinazione dello 0,1 percento il ritardo della seconda dose abbatte il numero dei decessi da 442 a 402, mentre con un tasso di vaccinazione dello 0,3 percento tale numero scende da 241 a 204. Quando il tasso di vaccinazione sale all'1 percento, tuttavia, il numero di morti sale invece da 50 a 86, pertanto gli scienziati ritengono che il ritardo della seconda dose è auspicabile con tassi di vaccinazione pari o inferiori allo 0,3 percento della popolazione genere al giorno. Ciò determina infatti una riduzione della mortalità fra 26 e 47 unità ogni centomila abitanti, cioè fino al 20 percento.
Gli scienziati sono consci dei limiti del proprio modello, tenendo presente che simulare le interazioni umane potrebbe non sempre riflettere la realtà (anche alla luce delle variabili misure anti Covid), tuttavia sottolineano che i decisori politici dovrebbero tenere in considerazione i tassi delle vaccinazioni locali e soppesare rischi e benefici di questa strategia potenzialmente efficace. I dettagli della ricerca “Public health impact of delaying second dose of BNT162b2 or mRNA-1273 covid-19 vaccine: simulation agent based modeling study” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica The British Medical Journal.