Questi Paesi hanno sotto controllo il coronavirus: le tre cose che funzionano davvero
A nove mesi dall’inizio della pandemia di Covid-19, il coronavirus non sta colpendo in modo indistinto e uniforme tutto il pianeta. Anzi. Mentre l’Europa e gli Stati Uniti fanno i conti con numeri di infezioni giornaliere da record, alcuni Paesi stanno riuscendo a tenere sotto controllo la diffusione del virus, registrando incrementi quotidiani irrisori oppure, come nel caso di Taiwan, pari a zero (200 giorni consecutivi senza un solo caso di Covid-19). Una situazione analoga a quella che si sta iniziando a registrare in Australia, dove il virus ha colpito duramente solo in una precisa regione, quella di Melbourne, e dove la gestione della pandemia ha ridotto gli incrementi giornalieri a qualche decina. Anche in Corea del Sud, dove a marzo la situazione sembrava particolarmente compromessa, i casi giornalieri continuano ad oscillare intorno alle poche centinaia, così come la Cina, epicentro della pandemia ma riuscita ad affrontare (e battere) il coronavirus.
Ecco le tre cose che funzionano davvero
Secondo gli esperti di salute pubblica questi risultati sono stati ottenuti attraverso l’adozione di tre specifiche strategie: 1) la creazione di un piano di contrasto coerente e con messaggi razionali; 2) l’utilizzo diffuso delle mascherine respiratorie; 3) l’implementazione di test estesi e rapido tracciamento dei contatti. “Nei Paesi dove non si riesce a frenare la trasmissione del virus manca almeno uno di questi elementi – osserva un report pubblicato su Business Insider – . Negli Usa mancano tutti e tre”.
Sotto la lente degli esperti, quanto sta accadendo negli Stati Uniti, dove gli incrementi giornalieri sono nell’ordine dei 100mila contagi ed è ormai prossimo il superamento dei 10 milioni di casi. “Penso che una risposta federale organizzata e la popolazione che si fidi dei propri leader e funzionari della sanità pubblica siano la cosa più importante – ha dichiarato Monica Gandhi, docente di Medicina presso l’Università della California, sottolineando come finora gli Usa abbiano fallito in entrambi.
Uno studio dell’Institute for Health Metric and Evaluation dell’Università di Washington ha indicato che “se il 95% degli americani indossasse le mascherine, tra la fine di settembre e il 1° marzo 2021 potrebbero essere salvate almeno 63mila vittime”. Un dato indirettamente confermato dal numero di decessi registrato in Paesi come la Cina, Taiwan e Singapore, dove l’uso della mascherina è particolarmente esteso e il numero di vittime per Covid-19 non è paragonabile alla mortalità osservata nei Paesi dove l’uso delle mascherine non è stato reso obbligatorio.
Come premesso, l’altro elemento chiave nel controllo della pandemia è stata la combinazione di tamponi e tracciamento dei contatti. Gli esperti ritengono che la chiave per ridurre al minimo la diffusione del virus sia infatti quella implementare “test affidabili, accessibili e gratuiti” per identificare e isolare i positivi, quindi “rintracciare i loro contatti” per individuare rapidamente i cluster di trasmissione. La Cina, ad esempio, ha testato oltre 2,8 milioni di persone in un solo giorno in seguito alla comparsa di un singolo caso a Kashgar, nella provincia autonoma dello Xinjiang. Questo ha portato le autorità a identificare altri 137 casi.
“Affinché gli strumenti diagnostici siano davvero efficaci – sottolineano gli esperti – , i positivi e i casi sospetti devono essere isolati”. In Corea del Sud, ad esempio, molti viaggiatori dei voli internazionali vengono trasferiti direttamente dall’aeroporto in una struttura di quarantena governativa. Se invece è un sudcoreano a risultare positivo (o si sospetta che sia entrato in contatto con un persona che ha contratto l’infezione da coronavirus), le autorità sanitarie richiedono di scaricare un’app di “auto-quarantena” che monitora le condizioni di salute e fa scattare un allarme qualora quella persona si avventuri al di fuori dell’aerea designata per l’isolamento.