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Covid 19

Questi due sintomi misurabili a casa sono associati alla mortalità per Covid

Analizzando le cartelle cliniche di oltre mille pazienti ricoverati in ospedale per COVID-19, un team di ricerca americano guidato da scienziati dell’Università di Washington ha dimostrato che la bassa saturazione dell’ossigeno nel sangue (ipossiemia) e l’elevata frequenza respiratoria (tachipnea) sono due segni predittivi di mortalità. Entrambi sono facilmente monitorabili a casa.
A cura di Andrea Centini
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Un'elevata frequenza respiratoria (tachipnea) e una bassa saturazione dell'ossigeno (ipossiemia) rappresentano due segni fortemente associati al rischio di mortalità per COVID-19, l'infezione provocata dal coronavirus SARS-CoV-2. Poiché possono essere facilmente monitorati a casa e sono predittivi di esiti clinici infausti, in caso di positività è possibile richiedere assistenza ospedaliera prima che la situazione diventi irrecuperabile. In parole semplici, si tratta di due importanti campanelli d'allarme che se correttamente valutati possono aiutare a salvare molte vite dall'infezione virale; va infatti tenuto presente che la bassa saturazione dell'ossigeno potrebbe restare asintomatica anche dopo aver superato livelli pericolosi.

A determinare che tenere sotto controllo ipossiemia e tachipnea a casa può salvare la vita dalla COVID-19 è stato un team di ricerca americano guidato da scienziati della Divisione di Cardiologia dell'Università di Washington, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi dell'Unità di ricerca sulla salute cardiovascolare, del Dipartimento di Biostatistica e del Centro Medico dell'Università Rush di Chicago. Gli scienziati, coordinati dai professori Neal Chatterjee e Nona Sotoodehnia dell'ateneo di Seattle, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato le cartelle cliniche di oltre mille pazienti con età pari o superiore ai 18 anni, tutti ricoverati in ospedale per COVID-19 tra il primo marzo e l'8 giugno del 2020, durante la prima, drammatica ondata di contagi della pandemia.

Tra i pazienti ricoverati, circa il 20 percento (197) ha perso la vita in ospedale. Incrociando tutti i dati è emerso che i pazienti con una bassa saturazione dell'ossigeno avevano una probabilità di morire da 1,8 a 4 volte superiore rispetto a quelli ammessi in ospedale con una saturazione regolare. Coloro che presentavano fiato corto o tachipnea, cioè una frequenza respiratoria elevata, avevano un rischio di morire rispetto a coloro che avevano una respirazione normale da 1,9 a 3,2 volte maggiore. Per bassa saturazione dell'ossigeno in questo studio si intendeva un valore pari al 91 percento o inferiore, mentre per tachipnea 23 respiri al minuto o più. Temperatura corporea (febbre), frequenza cardiaca e pressione sanguigna non erano invece fattori associati al rischio di mortalità, hanno scritto gli autori dello studio in un comunicato stampa.

Il professor Chatterjee  e i colleghi spiegano che le linee guida dei CDC indicano che i pazienti COVID devono cercare assistenza sanitaria quando sperimentano difficoltà respiratorie e dolore persistente al petto, tuttavia, come sottolineato, spesso una bassa saturazione dell'ossigeno può restare asintomatica anche con valori pericolosi. “Inizialmente la maggior parte dei pazienti con COVID non ha difficoltà a respirare. Possono avere una saturazione dell'ossigeno piuttosto bassa ed essere ancora asintomatici”, ha dichiarato il professor Sotoodehnia, aggiungendo che se le persone attendono di avere il fiato corto prima di cercare assistenza, potrebbe essere già troppo tardi per intervenire con un trattamento salvavita. La combinazione di ossigeno supplementare e glucocorticoidi nei pazienti con ipossiemia e tachipnea può infatti “trattare efficacemente i casi severi di COVID-19”, spiegano gli autori dello studio, ma deve essere somministrata precocemente.

“Diamo ossigeno supplementare ai pazienti per mantenere la saturazione dell'ossigeno nel sangue dal 92 percento al 96 percento. È importante notare che solo i pazienti che assumono ossigeno supplementare beneficiano degli effetti salvavita dei glucocorticoidi”, ha affermato il professor Sotoodehnia. “In media i nostri pazienti ipossiemici avevano una saturazione di ossigeno del 91 percento quando sono entrati in ospedale, quindi un numero enorme di loro era già ben al di sotto del punto in cui avremmo somministrato misure salvavita. Per loro, quella cura è arrivata in ritardo”, ha chiosato l'esperto.

Alla luce di questi risultati, gli autori dello studio sottolineano la necessità che i CDC e l'OMS riconsiderino le proprie linee guida, proprio perché molte persone asintomatiche potrebbero invece aver bisogno del ricovero in ospedale. Gli esperti ricordano l'importanza per i positivi al coronavirus SARS-CoV-2 di avere un saturimetro/pulsiossimetro a casa per monitorare la saturazione del sangue e di contare quanti respiri si fanno in un minuto; per il conteggio è possibile farsi aiutare anche da un amico o da un famigliare. Se si superano i 23 al minuto raccomandano di contattare un medico. Questi consigli, concludono gli esperti, sono particolarmente preziosi per le persone a rischio di COVID-19 grave come gli anziani e chi soffre di obesità. I dettagli della ricerca “Admission respiratory status predicts mortality in COVID-19” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata Influenza and Other Respiratory Viruses.

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