Questa donna sopravvissuta al cancro ha avuto la Covid per almeno 335 giorni: com’è possibile
Dalla letteratura scientifica relativa alla COVID-19, la malattia provocata dal coronavirus SARS-Cov-2, sono noti casi di pazienti che sono risultati positivi al tampone oro-rinofaringeo per diversi mesi, sintomo di un'infezione particolarmente lunga, ma dagli Stati Uniti giunge la storia di un caso che ha dell'incredibile. Una donna di 47 anni del Maryland è infatti risultata positiva per almeno 335 giorni, poco meno di un anno, tra la primavera del 2020 – durante la prima ondata della pandemia, quando fu trovata positiva per la prima volta – e aprile di quest'anno. Si tratta di un primato che sottolinea quanto può essere subdolo e persistente il patogeno pandemico in pazienti fragili come la donna in questione, sottoposta alcuni anni prima a un trattamento oncologico per un cancro del sangue.
Il caso della donna è stato trattato da un team di ricerca guidato da scienziati del Laboratorio di Microbiologia e Immunologia Clinica del NIAID (National Institute of Allergy and Infectious Diseases), che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Systems Genomics Section – Laboratorio di Malattie Parassitarie, del Laboratorio di Virologia, del Surgery Branch – Center for Cancer Research e di altri centri di ricerca. Gli scienziati, coordinati dalla dottoressa Veronique Nussenblatt, hanno iniziato a seguire la quarantasettenne quando fu ricoverata per COVID-19 presso il National Institutes of Health di Bethesda (Maryland) circa un anno fa. La donna è stata sottoposta a continui tamponi oro-rinofaringei che risultavano costantemente positivi, tuttavia gli scienziati erano convinti che fossero falsi positivi, legati al materiale genetico virale rilasciato dal suo organismo dopo il superamento dell'infezione. La paziente, del resto, nel corso dei mesi ha mostrato solo sintomi lievi dopo la fase acuta iniziale.
A marzo di quest'anno, tuttavia, la sua carica virale è aumentata sensibilmente, spingendo la dottoressa Nussenblatt e i colleghi a sequenziare il genoma virale che continuava a persistere. Così hanno scoperto che si trattava dello stesso virus che l'aveva infettata dieci mesi prima, solo con alcune piccole modifiche genetiche (mutazioni), dovute al naturale processo di replicazione del SARS-CoV-2 nell'ospite, durato particolarmente a lungo. È proprio in pazienti come questa donna che gli scienziati ritengono possano svilupparsi le varianti di preoccupazione come la Delta, più resistenti, elusive e trasmissibili rispetto al ceppo genitore. La paziente è stata curata e ad aprile del 2021, alla fine del trattamento, si è completamente liberata dell'indesiderato patogeno.
L'infezione record di almeno 335 giorni, secondo gli esperti, è stata legata alla condizione di immunosoppressione della donna, a causa delle terapie per combattere un cancro del sangue che le era stato diagnosticato tre anni prima. Questo trattamento l'aveva lasciata con un basso numero di cellule B, ovvero quelle responsabili della produzione di anticorpi, l'esercito in prima linea per combattere gli agenti patogeni. Senza questa protezione il coronavirus SARS-CoV-2 ha avuto la meglio e ha potuto persistere nel suo organismo molto più a lungo che in altre persone, riacutizzandosi dopo numerosi mesi. Proprio a causa di questo rischio, i pazienti immunocompromessi (come coloro che ricevono farmaci immunosoppressori dopo un trapianto) vengono sottoposti a tre dosi di vaccino anti Covid per completare il ciclo vaccinale. I dettagli sul caso della 47esse sono stati descritti nell'articolo “Year-long COVID-19 infection reveals within-host evolution of SARS-CoV-2 in a patient with B cell depletion” caricato sul database online MedrXiv, in attesa di pubblicazione su una rivista scientifica.