Quante persone bisogna vaccinare per ottenere l’immunità di gregge in Italia?
“Per raggiungere l’immunità di gregge, la copertura vaccinale dovrà essere del 60-70% della popolazione”. È questa la soglia minima ipotizzata da esperti e autorità sanitarie per liberarci dal coronavirus Sars-Cov-2. Una percentuale sufficiente a considerare al sicuro anche le persone non vaccinate perché, essere circondati da un certo numero di soggetti immunizzati contro un determinato patogeno, riduce la diffusione di una malattia infettiva.
"In Italia basta il 65% di vaccinati"
Dati alla mano, in Italia si tratterebbe di vaccinare dai 36 ai 49 milioni di abitanti, un obiettivo ambizioso alla luce della limitata disponibilità di nuovi sieri anti-Covid per cui, è notizia di questi giorni, il nostro Paese spera di chiudere un accordo per realizzare in due stabilimenti italiani parte della produzione dei vaccini di Pfizer e Moderna d’intesa con le due aziende. “L’Italia produce da tempo vaccini in conto di terzi e ha una grande potenzialità di impianti” dice Giorgio Palù, professore emerito di Virologia all’Università di Padova e presidente dell’Agenzia Italiane del farmaco (AIFA) che in un’intervista a La Stampa ha ribadito che per raggiungere l’immunità basta il “65% di vaccinati”. Ma su cosa si basa questa percentuale e perché, come osservato da alcuni epidemiologi, il raggiungimento dell’immunità dipende in parte da quanto accade nella popolazione?
Il calcolo dell'immunità di gregge
Come spiegavamo anche qui, una stima precisa dei numeri necessari per raggiugere l’immunità di gregge, o immunità di popolazione, non è semplice ma, per calcolare il tasso di immunità necessario, si applica una formula matematica che tiene conto del numero di replicazione di base (R0), ovvero il valore che indica il numero di casi, in media, generati da un individuo infetto in una popolazione completamente suscettibile all’infezione. La formula per il calcolo della soglia di immunità di gregge è 1 – 1/R0 (uno meno uno fratto R0), per cui maggiore è l’R0 di un determinato patogeno e più alta è la percentuale di persone che dovranno essere immunizzate.
Ad esempio, per il morbillo, che è un virus estremamente contagioso, con un R0 compreso tra 12 e 18, la soglia di immunità di gregge è del 92-94% della popolazione. Quando Sars-Cov-2 è emerso in Cina, l’OMS e diversi istituti di ricerca hanno cominciato a calcolare l’R0 del nuovo coronavirus, stimando un numero di replicazione di base compreso tra 1,4 e 3,8 nelle aree più colpite dalla prima ondata pandemica. Il calcolo di una copertura del 60-70% deriva proprio dal presupposto che l’agente infettivo abbia un valore medio di R0 pari a 3 (1 – 1/3 = 2/3, cioè 66%).
Il calcolo, in questi termini, presume dunque che la popolazione sia totalmente suscettibile al virus, una situazione che evidentemente non tiene conto dell’evoluzione della pandemia. Pertanto, per stimare la soglia di immunità di gregge, talvolta si utilizza un altro valore, Rt (erre con t) che indica la misura della potenziale trasmissibilità della malattia in un determinato contesto. Essendo l’Rt un parametro variabile, che dipende dal nostro comportamento e dalla suscettibilità della popolazione, di conseguenza varia anche la stima del numero di persone che dovranno essere immunizzate.
Secondo una lettera di ricerca pubblicata sul Journal of Infection e ripresa anche da un articolo sulla rivista Nature, la stima può variare dall’85% del Bahrain fino al 5,66% del Kuwait, dove un tasso di immunità così basso rifletteva il fatto che il Kuwait stava mettendo in atto misure particolarmente restrittive per contrastare la diffusione del virus (come il coprifuoco locale e il divieto di voli commerciali da molti Paesi). “Se il Kuwait interrompesse queste misure, la soglia di immunità d gregge crescerebbe” spiegano gli studiosi.
Le "variabili impreviste"
Sebbene si possa dunque stimare la soglia di copertura vaccinale, non esiste un modo infallibile per misurare l’immunità di popolazione, in considerazione tra l’altro delle ancora limitate conoscenze sulla durata dell’immunità stessa e, soprattutto, della possibilità che nel corso della campagna vaccinale entrino in gioco “variabili” impreviste. Ad oggi sono almeno tre le versioni mutate di Sars-Cov-2 ritenute “di preoccupazione”, quella inglese (B.1.1.7) per la quale ci sono prove preliminari che suggeriscono una maggiore trasmissibilità, e quella sudafricana (501Y.V2), le cui mutazioni presenti nella proteina Spike si teme possano conferire al virus la capacità di sfuggire alla risposta immunitaria.
Anche dal Brasile, dove si è diffusa un’altra variante (P.1) arrivano indicazioni preliminari nello stesso senso, portando la comunità scientifica a chiedersi se gli attuali vaccini saranno efficaci come nei confronti del virus originale o se servirà una terza dose o comunque un’iniezione extra di una formulazione “aggiornata” per proteggersi da nuove o future varianti. Elementi che indicano come, nel complesso, la stima di un numero teorico per l’immunità di gregge si scontri con la vita reale e con la necessità di comprendere quale sarà il muro protettivo nei suoi confronti, non solo in Italia ma in tutto il mondo, perché nessuno potrà ritenersi davvero al sicuro fino a quando il virus non sarà sconfitto in ogni parte del Pianeta.