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Psicosi in montagna: perché abbiamo allucinazioni e parliamo da soli in alta quota

Superati i 7mila metri gli alpinisti hanno maggiori probabilità di essere colpiti da una “psicosi ad alta quota”, un nuovo disturbo medico le cui cause sono ancora incerte. Non è legato a una reazione organica e si manifesta con allucinazioni, che possono aumentare i rischi di incidenti mortali.
A cura di Andrea Centini
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Scalare le montagne più elevate può portare gli alpinisti a sperimentare una vera e propria “psicosi ad alta quota”, un nuovo disturbo medico completamente separato dal mal di montagna e dalle conseguenze che esso comporta. Le allucinazioni visive, uditive e olfattive, del resto, sono un fenomeno piuttosto noto fra gli alpinisti più estremi, e diversi fra gli atleti esperti ne hanno narrato l'esperienza in documenti, racconti e biografie. Sino ad oggi si pensava che tali eventi psicotici fossero in qualche modo legati a una reazione fisica, scatenata dall'organismo che non riesce ad abituarsi alla carenza d'ossigeno. Un grave mal di montagna può infatti comportare dolore alla testa, sonnolenza, vertigini, nausea, sanguinamento dagli occhi e persino edema cerebrale e polmonare, ovvero l'accumulo di liquido in questi organi. Sono tutte condizioni che portate al limite possono innescare eventi psicotici.

Oggi, grazie al lavoro dei ricercatori dell'Eurac Research e dell'Università Medica di Innsbruck (Austria), sappiamo invece che la psicosi ad alta quota è una diversa entità medica, che ha maggiori probabilità di presentarsi superati i 7mila metri di quota sul livello del mare (l'Everest, la vetta più alta della Terra, arriva a 8.848 metri). Le cause restano un mistero, ma sono molto probabilmente legate alla carenza di ossigeno, a gonfiori in alcune aree del cervello e alla situazione estrema, nella quale si dipende solo da se stessi.

Tra i fenomeni che possono sperimentare gli alpinisti colpiti dalla psicosi vi è anche la cosiddetta “sindrome del terzo uomo”, conosciuta anche come “fattore terzo uomo”, ovvero l'incontro con una persona inesistente che li accompagna lungo il viaggio e dà consigli. È ciò che accadde all'alpinista Jeremy S. Windsor, che a 8.200 metri disse di incontrare un certo Jimmy. Quando si è colpiti da questa psicosi si inizia a parlare da soli, a dire sciocchezze, in qualche caso anche a cambiare percorso, aumentando il rischio di gravi incidenti. È possibile che molti morti in montagna siano stati causati proprio da attacchi psicotici di questo tipo.

Ma come hanno fatto gli scienziati a determinare l'esistenza di questo specifico disturbo? La dottoressa Katharina Hüfner e i colleghi hanno studiato i casi di 83 eventi di grave mal di montagna analizzandone i vari sintomi. Hanno determinato che in 18 la psicosi ad alta quota è stata scatenata da fattori organici (come un edema cerebrale), mentre in 23 era isolata, cioè priva di un legame con eventi fisici. “Nel nostro studio abbiamo scoperto che c'era un gruppo di sintomi puramente psicotici; vale a dire che, sebbene siano effettivamente legati all'altitudine, non possono essere attribuiti a un edema cerebrale di alta quota, né ad altri fattori organici come perdita di liquidi, infezioni o malattie organiche”, ha sottolineato il professor Hermann Brugger, coautore dell'indagine.

La scoperta di questa nuova entità medica non solo potrebbe aiutare a comprendere meglio malattie mentali come la schizofrenia, ma potrebbe salvare la vita a molti degli alpinisti, informati sui rischi di simili attacchi psicotici indipendenti da fattori organici. I dettagli della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata Psychological Medicine.

[Credit: Simon]

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