Proteina legata a letalità della COVID-19 scoperta da italiani: speranze per nuova terapia

Ricercatori italiani hanno scoperto che una proteina chiamata CD11b gioca un ruolo fondamentale nella COVID-19, l'infezione provocata dal coronavirus SARS-CoV-2, intervenendo in nei principali processi patogenici – dall'infiammazione alla formazione di coaguli – che mettono a repentaglio la vita dei pazienti. La proteina, una glicoproteina legata alla membrana cellulare facente parte della famiglia delle “integrine”, può tuttavia essere un bersaglio di specifici anticorpi monoclonali (immunoglobuline semi-sintetiche, prodotte in laboratorio) che hanno già dato risultati positivi su modelli animali. Alla luce di queste premesse, la speranza dei medici è quella di poter mettere a punto una nuova terapia in grado di poter trattare il danno polmonare scaturito dall'infezione.
A scoprire il ruolo della proteina e la sua potenzialità come bersaglio terapeutico, oltre che a descrivere il modo in cui l'infezione aggredisce l'organismo, è stato un team di ricerca tutto italiano composto da scienziati dei dipartimenti di Medicina Interna e Malattie Infettive e del Laboratorio di Ematologia e Centro Trasfusionale presso il Consorzio Ospedaliero Area Milano Ovest – Ospedale Generale di Legnano (Milano). Gli scienziati hanno pubblicato due articoli nei quali hanno descritto nel dettaglio le proprie osservazioni.
Nel primo, “Decrease of Non-Classical and Intermediate Monocyte Subsets in Severe Acute SARS-CoV-2 Infection”, pubblicato sulla rivista scientifica Cytometry, Arianna Gatti e colleghi descrivono l'impatto dell'infezione da SARS-CoV-2 su globuli bianchi e monociti e la sequenza di eventi potenzialmente letali che ne consegue: “Infiammazione con rilascio di citochine infiammatorie; vasculite con infiammazione soprattutto dei piccoli vasi dovuti all'adesione dei monociti all'endotelio; tromboembolia in vari distretti, ma soprattutto a livello polmonare”. Proprio alla luce di queste caratteristiche della patologia, gli scienziati sottolineano che non a caso si registra la potenziale efficacia di farmaci quali cortisonici, tocilizumab ed eparina, rispettivamente ad azione antinfiammatoria, antivasculitica e antitrombotica.
Nel secondo articolo, “Monocytes could be a bridge from inflammation to thrombosis on COVID-19 injury: A case report” pubblicato su Thrombosis Update, il team guidato dal professor Antonino Mazzone, direttore del Dipartimento Area medica dell'ASST Ovest Milanese, hanno invece dettagliato il ruolo della proteina CD11b, la cui espressione aumenta in modo sensibile dopo l'infezione. Nel caso specifico, il livelli della proteina sono stati misurati in un paziente di 64 anni con polmonite COVID-19 sottoposto inizialmente a ventilazione non invasiva con casco CPAP, e successivamente intubato a causa dell'evoluzione della polmonite (divenuta interstiziale), che ha determinato insufficienza respiratoria acuta. Grazie a una serie di farmaci (enoxaparina, tocilizumab, idrossiclorochina e terapia antibiotica con ceftriaxone e azitromicina) i parametri del paziente sono migliorati costantemente. Poiché la proteina CD11b è legata a infiammazione, vasculite e coagulazione, Mazzone e colleghi la ritengono “un ponte fra i tre momenti patogenetici di COVID-19”. Come specificato, su modelli animali gli anticorpi monoclonali anti CD11b sono in grado di far regredire completamente il danno polmonare, dunque la speranza è quella di aver gettato le basi per una nuova e promettente terapia per i pazienti contagiati dal SARS-CoV-2.