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Più di un terzo delle morti legate al caldo è dovuto al cambiamento climatico

Lo rileva un nuovo studio pubblicato su Nature Climate Change che ha analizzato l’impatto del riscaldamento globale sul tasso di mortalità: “In alcune aree del pianeta, le vittime dell’aumento delle temperature superano il 50% dei decessi, ma anche alcuni Paesi del bacino del Mediterraneo risultano fortemente colpiti”.
A cura di Valeria Aiello
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Più di un terzo delle morti legate al caldo può essere attribuito al cambiamento climatico. Così almeno dal 1991, anno da cui parte l’analisi condotta dalla London School of Hygiene & Tropical Medicine e dall’Università di Berna nell’ambito della Multi-Country Multi-City (MCC) Collaborative Research Network, la rete internazionale di gruppi di ricerca al lavoro su un programma che mira ad analizzare le associazioni tra fattori di stress ambientale, clima e salute. L’interesse su questi temi, cresciuto negli ultimi anni sia tra i ricercatori sia tra il pubblico a causa dei recenti eventi metereologici estremi e dell’emergenza climatica, ha portato gli studiosi a concentrare la nuova indagine sull’impatto del riscaldamento globale sulla mortalità legata all’aumento delle temperature che, su scala globale, osserva il team di ricerca, è già dell’ordine di centinaia di migliaia di morti ogni anno.

L'impatto del riscaldamento globale sulla mortalità

Lo studio, pubblicato sull’autorevole Nature Climate Change, ha valutato il collegamento tra cambiamento climatico e mortalità in 732 località (principalmente città o regioni) in 43 diversi Paesi nel periodo 1991-2008, indicando complessivamente che – ad eccezione dell’Africa, per cui i dati non erano sufficienti – il 37% dei decessi legati al caldo del periodo estivo è attribuibile al cambiamento climatico dovuto all’attività dall’uomo.

Tasso di mortalità legato al calore attribuibile al cambiamento climatico nel periodo 1991-2018
Tasso di mortalità legato al calore attribuibile al cambiamento climatico nel periodo 1991-2018

In alcune aree del pianeta, evidenziano gli studiosi, la percentuale di vittime correlate al caldo supera il 50% dei decessi, come nel Sud-Est asiatico (tra il 48% e il 61%) e nell’America centrale meridionale (fino al 76% in Ecuador e Colombia), ma anche diversi Paesi del bacino del Mediterraneo, come Spagna, Italia e Grecia, risultano fortemente colpiti. I dati mostrano inoltre una stima del numero dei decessi attribuibile ai cambiamenti climatici per alcune città specifiche, pari a 136 decessi in più l’anno a Santiago del Cile (44,3% del totale delle morti legate al caldo in città), 189 ad Atene (26,1%), 172 a Roma (32%), 156 a Tokyo (35,6%), 177 a Madrid (31,9%), 146 a Bangkok (53,4%), 82 a Londra (33,6%), 141 a New York (44,2%) e 137 nella città vietnamita di Ho Chi Minh (48,5%). Dati che, nel complesso, forniscono “un’ulteriore prova della necessità di adottare forti politiche di mitigazione per ridurre le cause della crisi climatica e implementare gli interventi per proteggere le persone dalle conseguenze negative dell’esposizione al calore” affermano i ricercatori.

Mortalità legata al caldo attribuibile al cambiamento climatico dovuto all'attività dell'uomo / Nature Climate Change
Mortalità legata al caldo attribuibile al cambiamento climatico dovuto all'attività dell'uomo / Nature Climate Change

Gli scenari delle condizioni climatiche future prevedono un aumento sostanziale delle temperature medie, con eventi estremi come le ondate di calore. “Ci aspettiamo che la percentuale di decessi legati al caldo continuerà a crescere se non faremo qualcosa per contrastare il cambiamento climatico o non ci adatteremo all’aumento delle temperature – ha affermato Ana Vicedo-Cabrera, ricercatrice dell’Università di Berna e autrice principale dello studio – . Finora, la temperatura globale media è aumentata solo di circa 1 °C, che è una frazione di quella che potremmo affrontare se le emissioni continueranno a crescere in maniera incontrollata”.

L’impatto in termini di mortalità varia sostanzialmente a seconda dei cambiamenti climatici in ciascuna area e alla vulnerabilità della popolazione e, nel dettaglio, le persone che vivono nei Paesi a basso e medio reddito, che finora sono state responsabili di una parte minore delle emissioni antropiche, risultano già oggi le più colpite. “Il messaggio è chiaro – ha aggiunto il professor Antonio Gasparrini della London School of Hygiene & Tropical Medicine, autore senior dello studio e coordinatore del network MCC – : il cambiamento climatico non avrà solo impatti devastanti in futuro, ma ogni continente sta già sperimentando le terribili conseguenze delle attività umane. È ora di agire”.

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