Pianeti extrasolari: i telescopi del futuro vi cercheranno la vita
Quasi ogni giorno sentiamo parlare della scoperta di nuovi pianeti. Stiamo vivendo un’epoca entusiasmante, che ha rivoluzionato completamente l’astronomia e la nostra comprensione di ciò che si trova lì fuori, nello spazio oltre il nostro Sistema Solare. Stiamo cercando nuovi mondi, e soprattutto nuove Terre, gemelli del nostro pianeta, che dimostrino che non siamo un accidente cosmico, una vincita fortunata al superenalotto. Ma la verità è che stiamo cercando di capire soprattutto se non siamo soli nell’universo, e la nuova generazione di telescopi spaziali che seguirà la straordinaria missione Kepler della NASA potrà nel futuro più o meno prossimo fornirci forse una risposta.
Non solo Kepler
A Kepler, il telescopio spaziale espressamente progettato per cercare pianeti di tipo terrestre nella cosiddetta “zona abitabile” intorno alle stelle vicine, si aggiunge anche Spitzer, il telescopio spaziale infrarosso che, tra le altre cose, ha anche scoperto alcuni pianeti grazie alle sue particolari tecniche di osservazione. E prima di loro Corot dell’ESA aveva già dato una bella spinta alla ricerca degli esopianeti. Oggi sappiamo che ci sono, che sono tantissimi, che sono la norma intorno a stelle come il nostro Sole, ma anche intorno a stelle più strane, come sistemi stellari doppi o tripli. Sappiamo che non ne esistono solo di grossi e gassosi quanto e più di Giove, ma che ce ne sono moltissimi di tipo roccioso come la Terra, di solito un po’ più grandi (le cosiddette “super-Terre”) ma in alcuni casi anche delle stesse dimensioni del nostro pianeta madre.
Kepler e Spitzer continueranno a operare almeno fino al 2016, dopo l’ultima estensione della missione finanziata dal Congresso americano. Dal 1995, anno della prima scoperta di un pianeta extrasolare, molto prima che i due potenti telescopi spaziali fossero lanciati in orbita, sono stati scoperti 763 pianeti e ben 2321 potenziali nuovi mondi individuati da Kepler grazie ai meccanismi di osservazione indiretta. Spetterà agli astronomi e agli astrofisici, sulla scorta dei dati forniti, stabilire se si tratta o meno di esopianeti. Alla fine del febbraio scorso, i pianeti delle dimensioni simili alla Terra erano 246. Un numero già di per sé significativo, anche perché in almeno un caso – Kepler 22 – sappiamo che c’è un pianeta di tipo terrestre nella zona abitabile intorno alla sua stella, che potrebbe ospitare acqua allo stato liquido in superficie. Kepler 22 potrebbe essere, insomma, il nostro gemello. Secondo gli scienziati, tra il 2 e il 10% dei pianeti della galassia potrebbero essere simili alla Terra.
I nuovi cacciatori di mondi
Ora si tratta di andare oltre. Dobbiamo saperne di più sulle loro atmosfere, per capire se sono respirabili. Dal 2003, anno in cui è stata per la prima volta individuata un’atmosfera extraterrestre, a oggi, gli astronomi sono stati in grado di osservare il ciclo giorno/notte su molti di quei pianeti, e invidiare presenza di acqua, azoto, anidride carbonica e altri gas che abbondano nella nostra atmosfera anche su quei mondi lontani. Ciò è stato possibile soprattutto grazie a Spitzer, che analizza gli spettri elettromagnetici della luce delle stelle assorbiti dalle atmosfere dei pianeti che vi passano davanti. Ma le nuove missioni della NASA e dell’ESA si spingeranno molto oltre.
Il James Webb Space Telscope, il telescopio di nuova generazione che sostituirà Hubble e costerà 10 miliardi di dollari (lancio previsto nel 2018), sarà in grado di osservare direttamente molti di questi pianeti. Pensato per una vastissima serie di compiti astronomici, e destinato a fornirci immagini di risoluzione enormemente superiore a quelle già straordinarie a cui Hubble ci ha abituati, il James Webb ci aprirà una finestra nuova sul cosmo, rivoluzionando la nostra conoscenza dell’universo. Grazie agli enormi passi avanti fatti negli ultimi anni, il James Webb potrà tra le altre cose fotografare esopianeti di grandi dimensioni, di tipo gioviano, quindi non terrestri. Ma sarà comunque un risultato importantissimo.
Come studiare le atmosfere aliene
Probabilmente più interessante per i nostri fini si dimostrerà la missione FINESSE (Far Infrared Exoplanet Spectroscopy Survey Explorer) che utilizzerà l’infrarosso per studiare le atmosfere di 200 esopianeti, tra cui alcuni promettenti siti che potrebbero ospitare la vita. Sarà possibile così scoprire nel dettaglio la loro composizione chimica e le temperature medie, ma soprattutto individuare tracce di biomarker, “impronte” lasciate da forme di vita extraterrestri. FINESSE potrebbe essere molto probabilmente affiancato, a partire dal 2022, da EChO (Exoplanet Characterization Observatry), un osservatorio spaziale dell’ESA che si concentrerà sulle super-Terre, pianeti di tipo roccioso più grandi del nostro ma comunque potenzialmente abitabili.
E in futuro potremo infine disporre del più potente telescopio realizzabile, quando sarà pronto un telescopio spaziale dotato di occultatore esterno, in grado di permettere la visione diretta di molti esopianeti. Un occultatore esterno è l’equivalente meccanico della mano che usiamo per schermare i nostri occhi dalla luce quando cerchiamo di osservare qualcosa e ci troviamo esposti al sole. Un telescopio spaziale posto piuttosto lontano dalla Terra, nel punto lagrangiano L2, il punto di equilibrio gravitazionale tra Sole e Terra (un milione e mezzo di chilometri di distanza dal nostro pianeta) dove sarà posto anche il James Webb, potrà schermare la luce delle stelle grazie a un occultatore posto al di fuori del telescopio, a una certa distanza dalla lente, e osservare così pianeti lontani – altrimenti invisibili a causa dell’abbaglio prodotto dalla luce del loro sole. Uno strumento del genere potrà superare tutti gli altri telescopi spaziali in programma. E qualora le missioni già programmate non riuscissero a individuare tracce di vita aliena sui pianeti extrasolari, c’è da scommetterci che questa ci riuscirà.