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Covid 19

Perché l’emergenza Covid in India è un problema che riguarda tutti i Paesi

Con la crescita della diffusione virale, aumenta la possibilità che emergano e si diffondano mutazioni in grado di rendere il virus più contagioso o capace di eludere la risposta immunitaria. Lo dimostra la comparsa della variante indiana già segnalata nel Regno Unito. Puntare solo sul potenziale della “terza dose” di vaccino e ulteriori dosi extra per difenderci dal contagio rischia però di portarci a un continuo inseguire il patogeno: dovremmo pensare anche a soluzioni in grado di fotografare in modo dettagliato le situazioni più a rischio e agire con azioni opportune.
A cura di Valeria Aiello
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Più di 300mila nuovi casi al giorno e oltre 2mila vittime ogni 24 ore: sono queste le drammatiche cifre dell’emergenza Covid-19 in India che, dallo scoppio della pandemia, sta facendo registrare cifre giornaliere mai toccate da nessun Paese. L’impennata di contagi, arrivata pochi mesi dopo la seconda ondata in altri Stati, ha di fatto messo in ginocchio la Repubblica federale, spingendo il primo ministro Narenda Modi a rivolgersi alla nazione per rassicurare sugli sforzi del governo e dell’industria farmaceutica nel dare una risposta alla mancanza di posti letto negli ospedali, alla penuria di ossigeno, tamponi e vaccini.

L'emergenza Covid in India

La realtà, d’altra parte, mette in evidenza la mancata determinazione del governo nel far rispettare le misure di salute pubblica. “Sebbene siano state emesse le consuete linee guida – ha spiegato l’epidemiologo e medico indiano Chandrakant Laharyha in un recente articolo per India Today – sono stati i responsabili politici e leader eletti a incoraggiare tacitamente l'affollamento nelle feste religiose (Holi alla fine di marzo 2021), le manifestazioni elettorali in cinque stati (marzo-aprile 2021) e le congregazioni nelle città sacre (Kumbh Mela ad Haridwar a marzo-aprile 2021)”.

Errori simili a quelli commessi in molti Paesi che, dopo la prima ondata, hanno suggerito un ritorno a un certo grado di normalità in un momento in cui era chiaro che sarebbero arrivate nuove ondate. Tra questi il Regno Unito che, dopo lo scotto di una prima gestione sommaria della pandemia, ha però dimostrato che una combinazione di lockdown, vaccinazione e sorveglianza sono le migliori risposte per piegare il contagio. E, nell’ultima settimana, ha tra l’altro segnalato un aumento dei casi dovuto a una nuova variante del coronavirus presente nel Paese, denominata B.1.617 e nota anche come “indiana”, proprio perché isolata e sequenziata per la prima volta in India. La stessa variante che si sospetta stia portando il sistema sanitario del Paese asiatico al collasso e che, come le altre varianti finora identificate, si ritiene possa essersi originata con l’aumento incontrollato della trasmissione virale.

Il rischio delle varianti

Il timore che ruota attorno alla variante indiana è rappresentato dalle conseguenze della sua diffusione. Anche se non si conoscono ancora nel dettaglio gli effetti delle singole mutazioni, i suoi cambiamenti suggeriscono due notevoli eccezioni rispetto alla versione di Sars-Cov-2 maggiormente diffusa a livello globale. Si tratta infatti di una variante a “doppia mutazione”, ovvero che presenta due sostituzioni a livello della sequenza codificante della proteina virale Spike: la prima è una mutazione denominata L452R, una modifica riscontrata nella variante californiana (B.1.427) che, alcuni esperimenti di laboratorio, dimostrano poter migliorare la capacità di legame al recettore cellulare ACE2 e diminuire il riconoscimento da parte degli anticorpi (sia quelli presenti nel plasma dei guariti e sia di alcuni monoclonali neutralizzati). Altri studi hanno indicato che potrebbe persino rendere il virus resistente ai linfociti T, che sono un tipo di cellule in grado di intercettare ed eliminare quelle infettate dal virus.

La seconda mutazione è invece denominata E484Q. Anche altre varianti di preoccupazione (come la brasiliana, la sudafricana e la versione mutata della variante inglese) presentano una modifica che interessa l’amminoacido in posizione 484 (E484K), che si ritiene aiuti il virus a eludere almeno parzialmente la risposta immunitaria indotta dall’infezione naturale e dagli attuali vaccini. Rispetto però alla lisina (K), la variante indiana presenta una glutammina (Q) in questa posizione, una sostituzione per cui esistono ancora prove limitate di fuga immunitaria.

Sono necessarie ulteriori ricerche per comprende l’esatto ruolo di queste mutazioni, ma è chiaro che l’emergere di varianti con cambiamenti che conferiscono al virus una maggiore trasmissibilità o la capacità di sfuggire alla risposta immunitaria, rappresenta una minaccia per la salute non solo in India, ma anche nel resto del pianeta. Per questo, le case farmaceutiche stanno già lavorando a vaccini “aggiornati”, dunque a terze dosi o dosi extra in grado di combattere le varianti di maggiore preoccupazione. Una soluzione con cui rischiamo comunque di continuare a inseguire il virus e che chiaramente non rappresenta la sola strada che può portarci alla fine della pandemia. Dovremmo piuttosto fotografare in modo più dettagliato le situazioni che rischiano di alimentare il contagio e agire con le azioni opportune.

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