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Perché le varianti del coronavirus si stanno diffondendo in tutto il mondo

Alcune mutazioni o combinazioni di mutazioni possono conferire un vantaggio selettivo al virus, favorendo l’emergere di varianti in grado di diffondersi e infettare le cellule in modo più efficace.
A cura di Valeria Aiello
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Nei Paesi dove si sono diffuse le varianti mutate del coronavirus si sta osservano un corrispondente aumento esponenziale della trasmissione virale. Questo è stato rilevato nel caso della variante inglese del virus, nota come B.1.1.7 e denominata VOC 202012/01 dal Public Health England (PHE), acronimo con cui l’Agenzia governativa del Dipartimento di Sanità e Assistenza sociale del Regno Unito ha indicato la variante di preoccupazione (Variant of Concern) identificata per la prima volta in Inghilterra, a Londra e nel Sud-Est della capitale, dove da minoritaria è diventata predominante, diffondendosi rapidamente in tutta la Gran Bretagna.

Il vantaggio delle varianti mutate

I primi studi hanno attribuito questa sua velocità di diffusione a un’aumentata capacità infettiva, calcolata dall’Imperial College di Londra con un Rt (il numero di riproduzione che indica quante persone, in media, vengono contagiate da un individuo già positivo) tra lo 0,4 e 0,7 più alto rispetto al virus originario. Ciò significa che una variante con ha un vantaggio del 40-70 percento in termini di contagiosità “può portare a una crescita esponenziale dei casi e sopraffare il sistema sanitario già sfinito in Paesi dove il numero di casi di Covid-19 è in aumento, ” spiega in un articolo di The Conversation la ricercatrice Sarah Otto, professoressa di Biologia dell’Evoluzione presso la British Columbia University di Vancouver, in Canada.

A giocare un ruolo determinante è la selezione naturale. Alcune mutazioni o combinazioni di mutazioni possono conferire un vantaggio selettivo al virus, favorendo l’emergere di ceppi in grado di sopravvivere e diffondersi in modo più efficace. Un esempio è dato dal vantaggio conferito dalle sostituzioni o delezioni del gene S che codifica per la proteina Spike utilizzata dal virus per entrare in contatto con l’enzima di conversione dell’angiotensina-2 (ACE2), la via di ingresso nelle cellule umane, come le mutazioni N501Y e la delezione H69-V70 cui gli studiosi attribuiscono rispettivamente una maggiore affinità di legame al recettore cellulare ACE2 e un riconoscimento più difficile da parte degli anticorpi, permettendo alla variante mutata di infettare le cellule con maggiore successo.

Sebbene si conosca comunque ancora poco sul significato funzionale delle mutazioni genetiche esistenti, quanto emerso finora suggerisce che i virus coi vantaggi osservati nella variante inglese e presumibilmente in quella sudafricana (B.1351) e brasiliana (P.1) “travolgeranno molti Paesi nei prossimi mesi” ha aggiunto la professoressa Otto, riferendosi all’ultimo report dei Centers of Disease and Control (CDC) degli Stati Uniti che indica come la variante B.1.1.7 abbia il potenziale per peggiorare la situazione pandemica dei prossimi mesi negli Usa.

Siamo in una corsa contro l’evoluzione virale – conclude Otto – . Dobbiamo lanciare i vaccini il più rapidamente possibile e arginare la circolazione di varianti, limitando le interazioni e i viaggi, oltre a contrastare la diffusione, aumentando la sorveglianza e il tracciamento dei contatti”.

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