Perché la variante Lambda può rappresentare la prossima minaccia virale
C’è chi dice che non sia ancora tempo, almeno qui in Italia, di parlare di allarme. Eppure questo virus dovrebbe averci insegnato che quando la sirena suona è ormai tardi per correre ai ripari. È andata così all’inizio della pandemia, quando Sars-Cov-2 ci ha sorpreso, ma è andata così anche per la variante Alfa, responsabile dell’ondata dello scorso inverno, e adesso per la variante Delta che sta facendo registrare una nuova impennata di casi in piena estate.
Continuando a reagire e non ad agire, è molto probabile che la stessa situazione si possa verificare anche per altre varianti virali, come la Lambda, inizialmente identificata in Perù, dove attualmente rappresenta la quasi totalità dei casi di Covid, e già diffusa in più regioni dell’America Latina e negli Stati Uniti. In Europa, secondo il database di monitoraggio delle varianti Gisaid, Svizzera e Belgio sono gli ultimi Paesi in ordine di tempo ad aver segnalato nuove infezioni dovute a questa variante, oltre a Spagna, Germania e Francia, e almeno un’altra trentina di Stati in tutto il mondo.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) hanno designato Lambda come “variante di interesse” (VOI, variant of interest) mentre il Public Health England (PHE) la considera “variante sotto indagine” (VUI, variant under investigation) per le mutazioni presenti nel genoma, che si ritiene possano influire sulle caratteristiche del virus. In altre parole, anche se non ancora considerata “variante di preoccupazione” (VOC, variant of concern) come Alfa e Delta, prove preliminari suggeriscono che i cambiamenti riscontrati nei geni di Lambda possano influenzare la sua trasmissione, la capacità di eludere la protezione indotta dai vaccini o la gravità della malattia.
La variante Lambda di Sars-Cov-2
Gli studi sull’esatta minaccia che Lambda rappresenta sono in aumento e sembrano portare tutti a una stessa conclusione: la variante peruviana del virus, chiamata anche C.37 (alias di B.1.1.1.37) potrebbe infettare con più facilità le nostre cellule ed essere più resistente all’immunità antivirale. Un team di ricercatori giapponesi, in particolare, ha scoperto che tre mutazioni presenti nella proteina Spike di Lambda (note come RSYLTPGD246-253N, una delezione di 7 aminoacidi al dominio N-terminale di Spike, e le sostituzioni L452Q e F490S), sono associate a una ridotta suscettibilità agli anticorpi neutralizzanti, il che significa che la risposta anticorpale indotta dagli attuali vaccini anti-Covid o da un'infezione dovuta a precedenti versioni virali ha meno probabilità di riconoscere il virus.
Altre due mutazioni, T76I e L452Q, entrambe presenti nel dominio di legame al recettore (RBD) di Spike (che è la porzione proteica che lega le nostre cellule) contribuiscono a rendere Lambda altamente infettiva. Un ulteriore studio preliminare condotto in Cile e disponibile in preprint su MedRxiv, suggerisce inoltre gli anticorpi indotti dalla vaccinazione con Coronavac, il siero sviluppato dalla cinese Sinovac, si sono dimostrati meno potenti nel neutralizzare questa variante rispetto ad Alfa, Gamma e al ceppo originario di Wuhan. Un altro studio, anche questo non ancora sottoposto a revisione paritaria e disponibile in preprint su BioRxiv, suggerisce che la mutazione L452Q sia responsabile della maggiore capacità di Lambda di infettare le cellule e che, nel complesso, il profilo mutazionale della variante peruviana riduca in parte la capacità degli anticorpi generati dai vaccini di Pfizer e Moderna di neutralizzare il virus.
Ad ogni modo, le riduzioni osservate dagli studiosi sono state moderate e gli anticorpi neutralizzanti sono solo una parte della risposta immunitaria protettiva suscitata dalla vaccinazione. Gli alti livelli di infettività, d’altra parte, rappresentano un rischio continuo, perché capaci di mantenere elevati livelli di trasmissione nella popolazione, dunque la possibilità che si generino successive varianti “plus” in grado di conferire al virus ulteriore capacità di infettare le cellule o resistere a vaccini e ai farmaci anticorpali esistenti.