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Covid 19

Perché il vaccino russo anti COVID “Sputnik V” è più difficile da produrre

Tra i vaccini anti COVID più promettenti non ancora approvati dall’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) vi è il russo Gam-COVID-Vac, meglio conosciuto col nome “Sputnik V”. In base agli ultimi studi scientifici, infatti, la preparazione mostra un’efficacia superiore al 90% e un ottimo profilo di sicurezza. Ma sull’effettiva disponibilità del vaccino ci sarà ancora da aspettare, non solo perché manca il via libera dell’EMA, ma anche per potenziali problemi di produzione delle dosi.
A cura di Andrea Centini
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Nell'ultimo aggiornamento del documento “Draft landscape and tracker of COVID-19 candidate vaccines” dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) risultano in sperimentazione contro il coronavirus SARS-CoV-2 circa 240 vaccini candidati, dei quali in 66 già passati alla fase clinica (vengono cioè testati sull'uomo). Fra essi uno dei più promettenti è il vaccino russo Gam-COVID-Vac sviluppato dal Gamaleya Research Institute di Mosca, meglio conosciuto col nome “Sputnik V”, derivato da quello del pionieristico programma satellitare sovietico. Questa preparazione è stata la prima in assoluto ad essere approvata per l'uso di massa (dal Ministero della Salute russo), e oggi rappresenta una delle speranze maggiori anche per l'Europa, tenendo presente che la cronica carenza di dosi dei tre vaccini già approvati dall'EMA (Pfizer, Moderna e AstraZeneca) non soddisfa l'enorme domanda. Ma sull'effettiva disponibilità dello Sputnik V ci sono due grandi interrogativi.

Innanzitutto, sebbene si immaginasse un'approvazione imminente da parte dell'Agenzia Europea dei Medicinali – vista anche l'ottima efficacia (superiore al 90 percento) dimostrata negli studi scientifici -, il 10 febbraio è stata la stessa EMA a dichiarare in una nota di non aver ricevuto la domanda di rolling review o la richiesta di autorizzazione per l'uso di emergenza per lo Sputnik V. Nonostante gli emissari del Centro nazionale di Epidemiologia e Microbiologia della capitale russa siano già in contatto da settimane con l'organismo europeo, dunque, non c'è stato alcun deposito formale della documentazione necessaria. Ciò ritarderà inevitabilmente i tempi di approvazione. Inoltre c'è da tenere presente che il capo del fondo statale per gli investimenti diretti (RDIF),il dottor Kirill Dmitrijew, ha annunciato che le “grandi consegne” del vaccino saranno possibili in Europa solo quando sarà terminata la campagna vaccinale di massa in Russia, che sembra tutto fuorché fulminea. Anche questo avrà naturalmente un impatto sulla disponibilità delle dosi. Previa approvazione dell'EMA, si stima che i primi lotti potrebbero arrivare non prima di maggio o giugno. Ma c'è un altro “spettro” che aleggia sulla disponibilità dei preziosi flaconcini dello Sputnik V.

Il vaccino russo è infatti piuttosto differente dalle altre preparazioni anti COVID già approvate, principalmente perché la doppia dose di cui si compone non prevede la somministrazione dello stesso principio attivo, bensì di due farmaci differenti. Nello specifico, si tratta di una coppia di adenovirus non replicanti – ricombinanti conosciuti con il nome di rAd26-S e rAd5-S. Questi due virus, resi innocui dall'ingegneria genetica, trasportano l'informazione genetica della proteina S o Spike del coronavirus SARS-CoV-2, e ciascuno punta a far sviluppare anticorpi contro specifiche porzioni della stessa. In pratica, lo Sputnik V è programmato per colpire più punti del “grimaldello biologico” del coronavirus, e ciò rende la protezione particolarmente efficace, come effettivamente evidenziato dagli studi clinici pubblicati su The Lancet. Il problema di fondo, tuttavia, è che si tratta di due vaccini in uno, che richiedono differenti bioreattori/tecnologie per essere prodotti. Come comunicato nelle scorse settimane dai quotidiani russi Meduza e Openmedia, se per la prima componente (l'rAd26-S) non sono sorti particolari problemi nella produzione, per la seconda sarebbero stati abbastanza significativi. Basti pensare che a dicembre, come indicato dai giornali che citavano fonti federali, sarebbero state disponibili milioni di dosi della prima componente, ma soltanto 500mila della seconda. “Il secondo componente del vaccino si è rivelato ‘più capriccioso' nella produzione”, aveva dichiarato la fonte federale al quotidiano Meduza. “Tutti i nostri sforzi sono ora concentrati sull'aumento della produzione della seconda dose”, aveva aggiunto l'esperto, sottolineando che ciò era dovuto alla “tecnologia diversa”. “Questo è abbastanza naturale – ha aggiunto la fonte del giornale – perché stiamo iniziando la produzione di un nuovo prodotto biologico”.

Non è chiaro come e in che modo questi problemi di produzione della seconda dose siano stati risolti, ma la campagna vaccinale in Russia stenterebbe a decollare, con una percentuale piuttosto contenuta della popolazione immunizzata (a Mosca alla fine di gennaio era meno del 2 percento). Sulla validità dello Sputnik V non sembrano più esserci dubbi, dopo la pubblicazione dei dati scientifici più recenti, ma l'effettiva disponibilità del vaccino potrebbe invece essere un problema da non sottovalutare. Non solo per la Russia, ma anche per tutti i Paesi che hanno opzionato le dosi. L'Unione Europea è pronta a firmare assegni non appena sarà dato il via libera da parte delle autorità regolatorie, inoltre ci sarebbero alcune aziende europee disponibili ad avviare la produzione dello Sputnik V nei propri stabilimenti. Non resta che attendere l'ok dell'EMA e sperare che siano stati superati tutti i problemi produttivi citati dai quotidiani russi.

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