Perché il vaccino COVID di Pfizer può essere meno efficace contro la variante sudafricana
Il vaccino anti COVID di Pfizer-BioNTech sembrerebbe avere una ridotta efficacia contro la variante sudafricana (B.1.351) del coronavirus SARS-CoV-2. Lo dimostra un nuovo test di laboratorio, nella quale è stato osservato che la neutralizzazione da parte degli anticorpi indotti dal vaccino (tozinameran/BNT162b2) è di circa i due terzi più debole rispetto a quella contro il lignaggio originale. Ma l'eliminazione del patogeno si è comunque verificata in provetta, inoltre non è noto quale livello di anticorpi sia necessario per bloccare infezione e malattia, pertanto sarà necessario condurre studi più approfonditi per capire quanto effettivamente sia inferiore la protezione offerta contro il ceppo scoperto in Sudafrica. Ricordiamo che da uno studio di Fase 3 condotto su 44mila partecipanti il vaccino anti COVID di Pfizer-BioNTech ha mostrato un'eccellente efficacia del 94 percento, che attualmente viene confermata anche dalla campagna vaccinale in Israele. Ma le varianti emergenti del patogeno presentano mutazioni con una certa capacità di eludere gli anticorpi (sia quelli innescati dalle infezioni naturali che quelli dei vaccini), dunque è fondamentale comprendere la reale efficacia delle preparazioni anche contro questi ceppi.
Il nuovo studio è stato guidato da scienziati dell'Università del Texas Medical Branch di Galveston, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Ricerca e Sviluppo di Pfizer Vaccine e di BioNTech. Gli scienziati, coordinati dal professor Yang Liu, hanno creato in laboratorio tre virus ricombinanti affini al SARS-CoV-2, che avevano diversi gradi di mutazione sulla proteina S o Spike, il grimaldello biologico che il patogeno sfrutta per legarsi alle cellule umane, invaderle e avviare il processo di replicazione e infezione (chiamata COVID-19). Il primo presentava una delezione del dominio N-terminale e la sostituzione D614G, diffusa in tutto il mondo; il secondo presentava mutazioni che coinvolgevano tre amminoacidi nel sito di legame del recettore (K417N, E484K e N501Y) e la sostituzione D614G; il terzo aveva tutte le mutazioni caratteristiche della variante sudafricana B.1.351.
Gli scienziati hanno condotto test di neutralizzazione dei tre virus sfruttando venti campioni di siero ricco di anticorpi, ottenuti da 15 pazienti vaccinati con il tozinameran/BNT162b2 durante gli studi clinici. L'attività di neutralizzazione è risultata essere efficace contro il primo virus ricombinante, mentre lo è stata molto meno (di circa due terzi) contro i virus con proteine S o Spike della variante sudafricana B.1.351. Ciò suggerisce che il vaccino di Pfizer possa proteggere meno da questa variante, sebbene siano necessarie ulteriori conferme. Nonostante la ridotta attività neutralizzante degli anticorpi, del resto, il virus veniva comunque eliminato.
“Anche se non sappiamo ancora esattamente quale livello di neutralizzazione è richiesto per la protezione contro la malattia o l'infezione da COVID-19, la nostra esperienza con altri vaccini ci dice che è probabile che il vaccino Pfizer offra una protezione relativamente buona contro questa nuova variante”, ha dichiarato alla CNN il professor Scott Weaver, direttore dell'Istituto per le Infezioni umane e l'Immunità dell'Università del Texas Medical Branch e autore dello studio. Lo scienziato ha aggiunto che non ci sono prove nel “mondo reale” che la variante sudafricana possa sfuggire alla protezione del vaccino, inoltre ha aggiunto che Pfizer sta pianificando lo sviluppo di un aggiornamento del farmaco, nel caso in cui venisse identificato un ceppo che ne riduca in modo significativo la protezione. I dettagli della ricerca preliminare “Neutralizing Activity of BNT162b2-Elicited Serum — Preliminary Report” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica New England Journal of Medicine (NEJM).