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Covid 19

Perché il coronavirus è così contagioso: scoperta nuova chiave che permette l’ingresso nelle cellule

Due team di ricerca internazionali hanno scoperto con due studi indipendenti un’altra “chiave” che permette al coronavirus SARS-CoV-2 di entrare nelle cellule umane, avviando l’infezione. Si tratta del recettore Neuropilina-1, diffuso nelle cellule della cavità nasale, nei neuroni e nei vasi sanguigni.
A cura di Andrea Centini
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Il nuovo coronavirus visto al microscopio elettronico in falsi colori. Credit: NIAID-RML
Il nuovo coronavirus visto al microscopio elettronico in falsi colori. Credit: NIAID-RML
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Nel momento in cui stiamo scrivendo, sulla base della mappa interattiva dell'Università Johns Hopkins il coronavirus SARS-CoV-2 nel mondo ha infettato quasi 42 milioni di persone e ne ha uccise circa 1,2 milioni (in Italia i contagi complessivi sono 465mila e le vittime 37mile). Tenendo presente che il patogeno è emerso in Cina circa un anno fa, si tratta di numeri impressionanti, che sottolineano quanto esso è contagioso rispetto ad altri virus simili. Questa caratteristica sarebbe legata alla capacità di legarsi a un recettore chiamato Neuropilina-1, particolarmente diffuso nelle cellule delle alte vie respiratorie, nei vasi sanguigni e nei neuroni.

A scoprire il ruolo della Neuropilina-1 nello sviluppo della COVID-19, l'infezione scatenata dal coronavirus SARS-CoV-2, sono stati due team di ricerca internazionali attraverso due indagini indipendenti: la prima guidata da scienziati dell'Università Tecnica di Monaco e del Programma di ricerca sulle bioscienze molecolari e integrative dell'Università di Helsinki; la seconda coordinata dall'Università di Bristol, Regno Unito. Entrambe le squadre hanno collaborato con centri di ricerca sparsi in tutto il mondo. Gli scienziati del primo team, coordinati dal neuroscienziato Mika Simons dell'ateneo tedesco e dal virologo Giuseppe Balistreri della Facoltà di scienze biologiche e ambientali dell'università finlandese, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver messo a confronto i profili genetici del SARS-CoV-2 e del SARS-CoV, il patogeno responsabile dell'epidemia di SARS che ha colpito alcuni Paesi all'inizio degli anni 2000. Lo studio dell'ateneo inglese, guidato da Pete Cullen, Yohei Yamauchi e Boris Simonetti, ha scoperto attraverso la cristallografia a raggi X e tecniche biochimiche che una parte della proteina S del SARS-CoV-2 si lega direttamente alla Neuropilina-1.

Simons e colleghi si sono chiesti come mai il nuovo patogeno è così contagioso, mentre il “cugino” che causa la SARS, pur essendo molto simile, non ha avuto (fortunatamente) la stessa, devastante circolazione. Gli scienziati sapevano che il coronavirus sfrutta il recettore enzima di conversione dell'angiotensina 2 (ACE2) presente sulle cellule umane per “agganciarsi” su di esse attraverso la proteina S o Spike, un processo che, agevolato da un altro enzima chiamato serina proteasi transmembrana di tipo II (TMPRSS2), permette al patogeno di scardinare la parete cellulare come un grimaldello, riversare il materiale genetico all'interno e dare il via al processo di replicazione, alla base dell'infezione. L'ACE2, pur essendo presente in numerosi tessuti (compresi quelli intestinali), non è comunque abbondante nella cavità nasale, la principale porta d'accesso del patogeno. Dunque hanno ipotizzato il coinvolgimento di un altro fattore.

Mettendo a confronto i genomi di SARS e SARS-CoV-2, hanno scoperto che il virus responsabile della pandemia di COVID-19 ha sviluppato un nuovo “gancio” sulle sue proteine superficiali, lo stesso sfruttato anche da virus come l'Ebola e l'HIV. Dopo un consulto con i colleghi di tutto il mondo, gli scienziati hanno deciso di concentrarsi su un recettore potenzialmente coinvolto nel legame con il suddetto gancio, la Neuropilina-1. Come indicato, esso è molto abbondante nella cavità nasale, a differenza dell'ACE2. Per dimostrare che fosse coinvolto proprio questo recettore, hanno messo a punto un esperimento ad hoc per bloccare la Neuropilina-1 attraverso specifici anticorpi monoclonali, ed esponendo al virus colture cellulari, hanno osservato una significativa riduzione dell'infezione. “Se pensi all'ACE2 come a una serratura per entrare nella cellula, la Neuropilina-1 potrebbe essere un fattore che indirizza il virus alla porta. ACE2 è espresso a livelli molto bassi nella maggior parte delle cellule. Pertanto, non è facile per il virus trovare le porte per entrare. Altri fattori come la Neuropilina-1 potrebbero aiutare il virus a trovare la sua porta ”, ha dichiarato in un comunicato stampa il dottor Balistreri. Ulteriori indagini condotte dal team di ricerca su modelli murini (topi), hanno mostrato come il SARS-CoV-2 possa colpire il sistema nervoso, sfruttando proprio un “passaggio” attraverso la Neuropilina-1.

Curiosamente, alle medesime conclusioni del primo team sono giunti anche gli scienziati dell'Università di Bristol attraverso uno studio parallelo e indipendente. "Osservando la sequenza della proteina Spike del SARS-CoV-2 – hanno spiegato in un comunicato stampa i tre coordinatori della ricerca – siamo rimasti colpiti dalla presenza di una piccola sequenza di amminoacidi che sembrava imitare una sequenza proteica trovata nelle proteine ​​umane che interagiscono con la neuropilina -1″; si trattava dello stesso "gancio" identificato dall'altra squadra di ricerca. Attraverso specifiche tecniche di laboratorio, gli scienziati dell'ateneo britannico sono stati in grado di stabilire "che la proteina Spike del SARS-CoV-2 si lega effettivamente alla neuropilina-1". "Una volta stabilito che la proteina Spike si lega alla neuropilina-1 – hanno aggiunto gli studiosi –  siamo stati in grado di dimostrare che l'interazione serve a migliorare l'invasione di SARS-CoV-2 delle cellule umane coltivate in colture cellulari". Anche Boris Simonetti e colleghi hanno dimostrato che bloccando l'interazione tra neuropilina-1 e coronavirus attraverso anticorpi monoclonali si riduce la capacità infettiva del patogeno.

La scoperta di questo legame tra coronavirus e il recettore neuropilina -1 potrebbe portare allo sviluppo di farmaci in grado di impedire al patogeno di “agganciarsi” e dunque di innescare l'infezione. Come specificato dagli autori del primo studio, diverse molecole sono già in sviluppo, e alcune hanno dato segnali incoraggianti nei primi test in vitro. I dettagli della ricerca “Neuropilin-1 facilitates SARS-CoV-2 cell entry and infectivity” guidata dagli scienziati dell'Università Tecnica di Monaco e dell'Università di Helsinki, così come quelli dello studio "Neuropilin-1 is a host factor for SARS-CoV-2 infection" condotto dall'Università di Bristol, sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica Science.

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