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Perché i raggi ultravioletti del sole non bastano per proteggerti dal coronavirus

In molti hanno travisato i risultati di una ricerca italiana, nella quale si indica che i raggi ultravioletti UV-C possono uccidere il coronavirus SARS-CoV-2 in pochi secondi. È vero che questi raggi ultravioletti sono prodotti dal sole, ma vengono (fortunatamente) assorbiti dallo strato di ozono, dato che sono molto pericolosi per gli organismi viventi.
A cura di Andrea Centini
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Una recente ricerca italiana non ancora sottoposta a revisione paritaria ha dimostrato che i raggi UV, conosciuti anche come radiazione ultravioletta, sono particolarmente efficaci nel distruggere il coronavirus SARS-CoV-2, il patogeno responsabile della pandemia che sta sconvolgendo il mondo. Nello specifico, sono sufficienti basse dosi (3,7 mJ / cm2) di raggi ultravioletti di tipo C (UV-C) – che hanno una lunghezza d'onda compresa tra i 280 e i 100 nanometri – per neutralizzare il virus in pochi secondi. La ricerca, chiamata “UV-C irradiation is highly effective in inactivating and inhibiting SARS-CoV-2 replication” e caricata sul database online MedrXiv, è stata guidata da un team scienziati dell'Università degli Studi di Milano, in collaborazione con esperti dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e del Dipartimento di Diagnostica per immagini e radioterapia dell'Istituto Nazionale dei Tumori (INT).

È noto che il sole è una potente fonte di raggi ultravioletti, e in molti hanno travisato il risultato di questo articolo in prestampa (non ancora pubblicato su una rivista scientifica) pensando che è sufficiente esporsi alla luce solare per uccidere il coronavirus e proteggersi dall'infezione potenzialmente fatale che scatena, chiamata COVID-19. La realtà, tuttavia, è ben diversa, dato che è vero che la nostra stella produce questo tipo di raggi ultravioletti, ma fortunatamente vengono assorbiti dallo strato di ozono presente nell'atmosfera terrestre, difendendoci da essi. Si tratta infatti di raggi molto pericolosi per gli organismi viventi, che potrebbero facilmente innescare cancro e altre condizioni letali. Tra chi ha sottolineato che la ricerca italiana è stata travisata vi è il professor Enrico Bucci, docente di Biochimica e Biologia Molecolare presso la prestigiosa Temple University di Philadelphia, che ha pubblicato un post su Facebook sibillino titolandolo “L'ultima baggianata”.

“Si sta diffondendo l'idea che siccome in un preprint recentemente pubblicato da un gruppo italiano si afferma che la sterilizzazione mediante UV con lunghezza d'onda a 254 nm è sufficiente ad eliminare il virus, ALLORA il virus sarebbe sensibile all'azione del sole”, ha scritto Bucci, indicando subito dopo il link all'articolo. “Ora, senza nulla voler affermare a proposito dell'azione del sole (che potrebbe agire ad altre lunghezze d'onda), l'idea che la radiazione UV-C da esso emessa ci protegga dal virus è una solenne fesseria, per una semplicissima ragione, che potete capire guardando qui sotto un grafico chiamato ‘spettro di emissione', in cui si rappresenta la quantità di radiazione solare che raggiunge la terra ad ogni lunghezza d'onda”, ha aggiunto lo studioso.

“Come potete notare – prosegue Bucci – la radiazione a 254 nm (a sinistra nel grafico, curva in rosso) non raggiunge la terra: è filtrata dall'atmosfera, i cui gas assorbono a quelle lunghezze d'onda. E meno male, perché se arrivassero a terra farebbero del male non solo al virus, ma anche a noi…meno male che ci pensa l'ozono, che nel grafico vedete come O3, a bloccare quella radiazione; e vi ricordate come ci preoccupavamo quando il famoso buco si apriva? Era perché proprio questa radiazione non sarebbe più stata filtrata…Per piacere, studiamo, giusto anche solo un minimo, prima di spingere la gente a credere certe cose”, ha chiosato la studioso.

Sebbene i raggi UVC non arrivino al suolo, lo fanno tuttavia gli UV-A e gli UV-B, quelli da cui ci difendiamo spalmandoci di crema solare prima di andare in barca o in spiaggia. Un'altra ricerca in prestampa dello stesso team italiano indica che sono sufficienti pochi minuti di esposizione a questi raggi per neutralizzare il virus, in particolar modo a mezzogiorno, quando l'irraggiamento è molto intenso. I risultati concordano con quelli di altre indagini, come quella condotta dal Laboratorio di biodifesa del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti. Va inoltre tenuto presente che il caldo fa evaporare rapidamente le goccioline (droplet) e gli aerosol nei quali si possono trovare le particelle virali emesse da un positivo, e ciò potrebbe spiegare come mai la pandemia ha colpito duramente prima l'emisfero nord, e ora sta aggredendo soprattutto quello sud, dove si è entrati in inverno da alcune settimane. Serviranno ulteriori indagini scientifiche per spiegare questa possibile relazione tra temperature e diffusione della pandemia. Ricordiamo che l'esposizione al sole senza adeguate protezioni resta una pratica pericolosa (si rischiano cancro della pelle e ustioni) e vanno seguite le raccomandazioni del Ministero della Salute e dell'OMS.

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