Perché gli articoli diventano virali? Il segreto è nel nostro cervello
Un team di ricercatori della Annenberg School for Communication presso l'Università della Pennsylvania ha determinato che, sul web, siamo spinti a condividere articoli che ci fanno apparire migliori e dai quali possiamo trarre benefici relazionali. In parole diverse, il volano della viralità nella rete è rappresentato dalla costante ricerca di approvazione sociale. Gli studiosi, coordinati dalle dottoresse Christin Scholz ed Elisa Baek, sono giunti a questa conclusione dopo aver sottoposto due gruppi di 39 e 41 volontari ad una serie di test, monitorandone l'attività cerebrale attraverso risonanze magnetiche funzionali (fMRI). I partecipanti erano nella maggior parte dei casi studenti dell'ateneo americano e avevano tutti un'età compresa tra i 18 ed i 24 anni.
Attraverso l'analisi i ricercatori sono stati in grado anche di predire la viralità degli ottanta articoli del New York Times utilizzati negli esperimenti, tutti relativi ad argomenti di salute (vita sana, fitness e alimentazione), dei quali i partecipanti hanno potuto leggere abstract e titoli. “Le persone sono interessate a leggere o a condividere contenuti legati alle proprie esperienze personali, alla percezione di stessi o a ciò che vorrebbero diventare”, ha sottolineato la ricercatrice Emily Falk, autrice principale dei due studi relativi all'indagine e docente del Neuroscience Lab presso l'ateneo di Filadelfia. “Esse condividono le cose che potrebbero migliorare le loro relazioni – ha proseguito la ricercatrice – farle sembrare intelligenti, empatiche o semplicemente che le pone in una luce migliore”.
Monitorando l'attività cerebrale gli studiosi hanno determinato che, leggendo una notizia, nel cervello si attivano specifiche regioni deputate all'inquadramento della sua importanza, al suo legame con la nostra esperienza personale e al potenziale valore che essa può avere per i nostri contatti nella lista amici. Sono proprio queste ultime due a spingerci a cliccare sul tasto ‘condividi'. I dettagli della ricerca sono stati pubblicati su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) e Psychological Science.
[Foto di Nastya_gepp]