Perché ci si può comunque ammalare di Covid dopo aver fatto il vaccino
Con la maggior parte dei vaccini anti-Covid che prevedono due dosi a distanza di 3-4 settimane una dall’altra, sono diversi i dubbi che in queste ore circolano in rete riguardo la loro efficacia e, in particolare, circa i tempi necessari affinché la vaccinazione assicuri la sua copertura. Premesso che la durata della protezione non è ancora stata definita con certezza perché, evidentemente, il periodo di osservazione è stato di pochi mesi (dovrebbe comunque aggirarsi intorno ai 9-12 mesi sulla base delle conoscenze ad oggi disponibili su altri coronavirus), occorre mettere subito in evidenza alcuni aspetti fondamentali:
In primis, che l’efficacia dei vaccini Covid, e in particolare, di quello da Pfizer/BionTech approvato in Europa, è dimostrata dopo almeno una settimana dalla seconda dose. È dunque palese che, quando si parla di efficacia del 95%, ci si riferisca alla protezione a partire dal 7° giorno dopo la seconda dose;
In secondo luogo, è bene ricordare che per efficacia del vaccino anti-Covid si intende la protezione dalla malattia e non dall’infezione, dal momento che gli studi clinici finora condotti hanno determinato la sola protezione dalle forme sintomatiche della malattia. In altre parole, sebbene sia plausibile che la vaccinazione protegga dall’infezione, non è ancora stato dimostrato se chi è stato vaccinato possa o meno contrarre l’infezione in modo asintomatico e contagiare le altre persone.
Cosa accade se si salta il richiamo?
Come detto, per un’efficacia del 95%, è necessario ricevere entrambe le dosi di vaccino. Una sola dose non assicura una risposta immunitaria tale da garantire un’adeguata protezione pertanto, saltare il richiamo, vanifica la piena efficacia della vaccinazione. In termini percentuali, per il vaccino di Pfizer è stato infatti dimostrato che l’efficacia dopo la prima dose è di appena il 52% quando misurata 12° giorni dopo la somministrazione. Questo perché la prima dose, che in gergo scientifico si chiama priming, serve a innescare la risposta immunitaria, mentre la seconda, il boost, è necessaria al potenziamento di tale risposta.
Essendo l’obiettivo della vaccinazione anti-Covid è quello di stimolare i linfociti B a produrre anticorpi specifici (IgG) contro la proteina Spike che il virus utilizza per legare le cellule umane e penetrare al loro interno, affinché la vaccinazione risulti pienamente efficace, gli stessi anticorpi devono essere non solo in grado di riconoscere la tale proteina ma anche prodotti in una quantità sufficiente da riuscire a neutralizzarla. Qualcosa che, dati alla mano, avviene almeno 7 giorni dopo la seconda dose.
Qual è il rischio di malattia dopo due dosi
Assodato che la somministrazione della seconda dose di vaccino, con lo scopo di potenziare la produzione di anticorpi protettivi, è essenziale per lo sviluppo di un’adeguata risposta immunitaria, sappiamo che l’efficacia dimostrata per il vaccino di Pfizer è del 95% nei confronti della malattia. Questo dato è calcolato sulla base dei casi di Covid-19 che si sono verificati nel corso della sperimentazione clinica di fase 3, ovvero 8 casi tra i destinatari del vaccino e 162 nel gruppo placebo: una suddivisione che corrisponde al 95% di efficacia.
Resta dunque escluso un 5%, per cui è possibile, come per tutte le vaccinazioni, che alcuni soggetti non si sviluppino una risposta immunitaria tale da proteggere dalle forme sintomatiche della malattia, come è inoltre plausibile che, essendo il vaccino testato su adulti sani o con condizioni croniche stabili, la copertura a livello di popolazione generale possa risultare un po’ inferiore. Ecco anche perché, almeno nelle prime fasi, la vaccinazione non sarà un “liberi tutti” né tantomeno esenterà dal rispetto delle misure anti-contagio come mascherine e distanziamento.