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Perché abbiamo le allucinazioni?

Uno studio ha indagato nel misterioso meccanismo che porta il nostro cervello a vedere e sentire cose che non ci sono.
A cura di Nadia Vitali
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Una delle immagini utilizzate per l'esperimento (University of Cambridge)
Una delle immagini utilizzate per l'esperimento (University of Cambridge)

Una delle esperienze più sconvolgenti che possono capitare alle persone affette da disturbi mentali è quella delle allucinazioni; una perdita temporanea del contatto con la realtà che può essere molto più comune di quanto si creda e, in alcuni casi, decisamente terrificante. Ma cosa c’è dietro questo tipo di fenomeno?

Immaginare la realtà

Un nuovo studio offre alcune prospettive per comprenderne meglio l’origine, suggerendo che l’allucinazione potrebbe essere spiegata come un tentativo di comprendere meglio la realtà basandosi su conoscenze pregresse. A spiegarlo sono i ricercatori delle università di Cambridge e Cardiff, in un articolo pubblicato dalla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences.

È perfettamente normale, per chiunque, ricorrere all’esperienza e alle conoscenze già acquisiste per interpretare la realtà circostante: quando – e può accadere spesso – ci si trova dinanzi a stimoli sensoriali non immediatamente comprensibili, una risposta naturale del cervello è quella di combinare questo dato con informazioni immagazzinate in altre circostanze, allo scopo di fornire una rappresentazione solida e priva di ambiguità dell’ambiente.

La vista è un processo costruttivo. In altre parole, il nostro cervello costruisce il mondo che vediamo. Riempie gli spazi bianchi, ignora le cose che non c’entrano abbastanza e ci restituisce un’immagine che è stata editata ed adattata in modo da adeguarsi a quello che ci aspettiamo. – dottor Christoph Teufel, School of Psychology at Cardiff University

Siamo tutti "allucinati"?

Insomma, spesso ci può capitare di tentare di dare un senso a cose che, apparentemente, un senso non ce l'hanno: una capacità predittiva che, secondo lo psichiatra Paul Fletcher dell’università di Cambridge, può essere molto utile perché ci si faccia un’idea coerente del mondo ma che, al contempo, fa in modo che non si sia troppo distanti, tutto sommato, dal percepire "altro" che in realtà non esiste: un’allucinazione, appunto.

Quello che sembra ormai chiaro agli scienziati è che le percezioni alterate non riguardano esclusivamente le persone con malattie mentali ma che sono relativamente comuni nella popolazione, anche se più spesso in forma più lieve. «A molti di noi capita di sentire o vedere cose che non ci sono» e può bastare un’ombra sul muro per scatenare tutte le nostre più oscure e angoscianti fantasie.

Bianco o nero?

Per cercare di comprendere se questo processo predittivo può essere collegato all'emergere della psicosi, i ricercatori hanno lavorato con 18 individui che avevano già mostrato di avere disturbi mentali e con 16 volontari “sani”. Ai due gruppi sono state sottoposte alcune immagini ambigue composte da chiazze bianche e nere.

In particolare, ai partecipanti veniva chiesto di identificare se nelle figure erano presenti ritratti umani oppure no: la natura molto ambigua delle immagini rendeva piuttosto difficile il compito in una prima fase. Ad essi sono state poi mostrate una serie di immagini a colori che includevano anche quelle da cui erano state derivate quelle in bianco e nero; un’informazione che poteva essere utilizzata per migliorare la capacità del cervello di dare senso alle altre immagini, altrimenti poco chiare.

I ricercatori hanno così concluso che le persone con maggiore tendenza ad imporre le proprie previsioni, e quindi maggiormente inclini alle allucinazioni, riuscivano meglio in questa tipologia di test di decifrazione delle immagini. Il vantaggio risulta costituito proprio dallo sbilanciamento del sistema di percezione visiva che porta ad interpretare la realtà sulla base, non tanto dei dati acquisiti con i sensi, quanto con le previsioni elaborate in base alle precedenti conoscenze acquisiste.

Queste scoperte sono importanti non solo perché ci dicono che l’emergere di alcuni sintomi chiave del disturbo mentale possono essere interpretati nei termini di un alterato bilanciamento delle normali funzioni cerebrali ma anche perché suggeriscono che tali sintomi e queste esperienze non sono il frutto di un cervello “guasto” ma, piuttosto, di uno sforzo naturale di dare senso ad una realtà ambigua – Naresh Subramaniam, Department of Psychiatry at the University of Cambridge

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