Per gli orsi polari in Alaska non c’è posto?
Il progetto prevedeva la designazione di una superficie vastissima di oltre 187 000 miglia quadrate nel territorio dell'Alaska destinata esclusivamente alle creature che vivono tra i freddi ghiacci del nord, con un particolare riguardo agli orsi polari, probabilmente le vittime più celebri di riscaldamento globale ed inquinamento atmosferico. Al momento, però, un giudice federale dello stato americano ha rispedito al mittente il progetto affinché ne vengano corrette le inadeguatezze procedurali e sostanziali: la U. S. Fish and Wildlife Service ha visto così allontanarsi, si spera temporaneamente, la speranza di un'area riservata alla protezione di un animale che, negli ultimi anni, si sta trovando a fronteggiare difficoltà sempre più complesse.
«Una superficie troppo estesa» – Il giudice Ralph Beistline ha spiegato che l'area prevista risultava eccessivamente estesa andando così a creare un evidente conflitto tra le giuste istanze animaliste di protezione dell'orso polare e la necessità di sviluppo e crescita economica del Paese: ad insorgere contro la designazione di un habitat naturale ed inaccessibile per gli orsi, che sarebbe dovuto sorgere lungo un territorio compreso tra il mare di Beaufort e quello di Chukchi creando una regione più grande della California, sono stati i gruppi confederati di nativi e lo Stato dell'Alaska che trae dalle riserve naturali di gas e petrolio la gran parte della propria ricchezza. Il governatore dell'Alaska Sean Parnell ha, quindi, accolto positivamente la decisione del giudice, mentre è comprensibile la delusione dell'agenzia governativa americana che si occupa della conservazione della fauna selvatica che si è limitata a prendere atto della decisione, senza rilasciare ancora dichiarazioni.
Specie vulnerabile – Nel 2008 il governo federale aveva dichiarato che l'orso polare rientrava tra le specie "minacciate" (con la classificazione di "vulnerabile") citando come principale responsabile dell'attuale condizione lo scioglimento dei ghiacci e, dunque, il global warming: ora questa temporanea battuta d'arresto potrebbe complicare ulteriormente il percorso verso una effettiva e funzionale tutela del plantigrado dell'Artico. Sarà dunque necessario attendere i prossimi sviluppi della vicenda per conoscere il destino di una specie che non convive solo con le gravissime conseguenze dell'innalzamento delle temperature.
Il problema dell'inquinamento – Oltre cinque anni fa, uno studio condotto sugli orsi polari aveva lanciato un altro allarme, quello relativo alle condizioni di salute dei plantigradi: nell'Artico, trasformato in una sorta di discarica degli additivi chimici utilizzati in Europa ed America e trascinati dai venti fino all'estremo nord, gli animali stavano iniziando a soffrire di gravi scompensi dovuti alla tossicità degli agenti inquinanti. Il fragile e delicato equilibrio esistente tra un territorio fino a pochi decenni fa incontaminato ed i suoi abitanti stava iniziando inevitabilmente a traballare. A farne le spese in particolar modo proprio i candidi orsi tra i quali venne rilevato un aumento nell'incidenza di anomalie degli organi riproduttori, nei problemi ormonali, nelle disfunzioni motorie. All'epoca ciò che stupì maggiormente gli studiosi fu il vistoso incremento di esemplari ermafroditi (almeno una femmina su cinquanta nasceva dotata di entrambi gli organi sessuali), fenomeno ricondotto all'alta concentrazione di sostanze ignifughe utilizzate per le materie plastiche, i ritardanti di fiamma brominati. Contrastare tutto ciò sarà impresa a dir poco difficile: ma si spera, proprio per questo, che la designazione di un'area protetta possa essere un buon principio per aiutare, prima che sia troppo tardi, una specie per la cui conservazione non si stanno ancora facendo sforzi sufficienti.