Parole simili in lingue diverse: lo studio sui suoni nel vocabolario di base
Una nuova ricerca potrebbe rappresentare una pietra miliare nell'ambito degli studi di linguistica generale: si tratta del lavoro guidato da Morten H. Christiansen, della Cornell University, che, attraverso l'analisi di quasi due terzi delle lingue parlate nel mondo attualmente, ha dimostrato che gli esseri umani tendono ad utilizzare gli stessi suoni per indicare alcuni oggetti ed idee; tale ricorrenza sarebbe riscontrabile anche in lingue che non sono correlate tra di esse.
Lo studio
Il gruppo interdisciplinare di ricerca – che conta scienziati provenienti da Argentina, Germania, Paesi Bassi e Svizzera – ha osservato una forte relazione statistica tra alcuni concetti di base e i suoni che gli uomini di tutto il mondo utilizzano per descriverli: dalle parti del corpo, alle relazioni familiari, dalle parole che esprimono qualità ai verbi che indicano movimento, fino ad alcuni aspetti della natura, tutto finirebbe per condividere alcuni suoni, a prescindere dall'idioma utilizzato. Tali considerazioni si basano sull'analisi di 40/100 vocaboli di base del 62% delle oltre 6.000 lingue parlate attualmente nel mondo: l'indagine ha portato a osservare come una porzione considerevole delle parole di questo vocabolario di base mostri una forte associazione con specifici tipi di suoni pronunciati dagli uomini. Tale numero, spiega Christiansen, potrebbe anche essere più elevato.
"Un naso avrà sempre lo stesso suono"
Ecco alcuni esempi riferiti dagli autori dello studio. Se pronunciate la parola “naso” in una qualsiasi lingua del mondo, con tutta probabilità userete il suono “n” (esattamente come accade con l'italiano); allo stesso modo la “lingua”, intesa come parte del corpo, conterrà il suono “l”; la “s” nella parola “sabbia” è estremamente ricorrente nelle lingue del globo terrestre, così come il suono “r” per indicare “rosso” e “rotondo”.
Naturalmente non tutte le parole, in tutte le lingue, condividono questi suoni: tuttavia la relazione individuata è risultata essere molto più forte di quella che gli stessi ricercatori si aspettavano, ha ammesso Christiansen. Tale principio può valere anche al contrario, tra l'altro: alcune parole, spiegano i ricercatori, tendono ad evitare dei suoni, in particolare i pronomi. È improbabile che il pronome personale di prima persona singolare, “Io”, includa i suoni u, p, b, t, s, r oppure l. Allo stesso modo, in quello di seconda persona singolare difficilmente si troveranno i suoni u, o, p, t, d, q, s, r oppure l: ma basta pensare alla nostra lingua per comprendere che, evidentemente, non si tratta di una regola fissa ma, appunto, di una probabilità.
Verso nuove prospettive linguistiche?
I risultati sembrano mettere in crisi uno dei concetti base della linguistica, ossia l'idea che la relazione tra l'espressione di una parola e il suo significato sia arbitraria; ma già negli ultimi vent'anni diversi studi stavano cercando di andare al di là di questo dogma. Fino ad oggi, però, nessuna ricerca aveva ampliato di tanto l'obiettivo ma, al contrario, ci si era soffermati su specifiche relazioni suono/parola nell'ambito di piccoli gruppi di lingue. In conclusione, i ricercatori non sanno perché gli umani tendano ad utilizzare gli stessi suoni in idiomi diversi e lontanissimi: forse, afferma Christiansen, ciò potrebbe avere qualcosa a che fare con la struttura del cervello umano, con il nostro modo di interagire o con i segnali che usiamo per apprendere un linguaggio.”Questa è una questione chiave per le future ricerche”.
Il lavoro è stato pubblicato da PNAS.