Ondate di calore nelle profondità del Mediterraneo: cambiamenti climatici uccidono gli animali
Nel cuore del Mar Mediterraneo si sviluppano preoccupanti ondate di calore che rischiano di alterare gli ecosistemi uccidendo coralli, alghe, spugne e altri animali marini. Le impennate nelle temperature dell'acqua hanno superato di 2° centigradi la media in alcune aree dello Ionio e nella porzione sudoccidentale del “Mare Nostrum”. Ad analizzare le ondate di calore, catalizzate dai cambiamenti climatici, un team di ricerca francese composto da quattro scienziati del CNRM (Centre National de Recherches Météorologiques) presso l'Università di Tolosa.
La ricerca. Gli scienziati, coordinati dai professori Sofia Darmaraki e Pierre Nabat, hanno determinato l'entità delle ondate di calore registrate nel Mediterraneo tra il 1982 e il 2017 (35 anni) grazie a dati raccolti sul campo, rilievi satellitari del programma Copernicus e l'utilizzo di un sofisticato algoritmo in una simulazione informatica. Nabat e colleghi hanno valutato l'intensità delle ondate di calore a tre profondità differenti, ovvero a 23 metri, 41 metri e 51 metri, poiché è proprio a tali valori batimetrici che in passato sono avvenute le maggiori morie di animali marini – soprattutto delicati coralli e spugne – nel Mediterraneo. Nel 2003, anno caratterizzato da un caldo killer, le popolazioni di questi animali furono letteralmente decimate.
I risultati. Incrociando tutti i dati è emerso che le ondate di calore più superficiali durano in media 15 giorni, comportano un aumento delle temperature di 0,6° centigradi e si estendono al massimo per il 39 percento del bacino Mediterraneo. Le ondate di calore più profonde raggiungono picchi di 2° centigradi e sono molto più lunghe e intense, tuttavia sono meno frequenti e occupano una porzione del Mediterraneo più ridotta. Le annate record rilevate da Nabat e colleghi sono state quelle del 2012, 2015 e 2017, in aggiunta a quella storica del 2003. Gli scienziati ritengono che a causa dei cambiamenti climatici questi fenomeni in futuro si faranno sempre più frequenti e intensi, mettendo seriamente in pericolo i delicati equilibri degli ecosistemi ma anche gli stock ittici per la pesca commerciale. I dettagli della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Geophysical Research Letters.