Oltre mille tonnellate di microplastiche piovono ogni anno sulle aree protette degli USA occidentali
Ogni anno, nei parchi naturali e nelle aree selvagge più remote degli Stati Uniti occidentali piovono – letteralmente – più di mille tonnellate di microplastiche, che equivalgono a 123 milioni di bottiglie per l'acqua. Un quantitativo enorme, che sottolinea per l'ennesima volta il devastante impatto delle attività antropiche sulla Terra. Ben il 4 percento delle particelle atmosferiche analizzate dagli autori della ricerca sono risultate essere dei polimeri plastici, il cui comportamento in atmosfera e terrestre ricorda in modo drammatico il ciclo dell'acqua.
A misurare la quantità di microplastiche che si abbatte su questa parte degli Stati Uniti è stato un team di ricerca guidato da scienziati dell'Università Statale dello Utah, che hanno collaborato con i colleghi del Dipartimento di Geoscienze presso il Salt Lake Community College di Salt Lake City e della Divisione Analisi materiali e strutturali della società Thermo Fisher Scientific (San Jose). Gli scienziati, coordinati dalla professoressa Janice Brahney, docente presso il Dipartimento di Scienze dell'Acqua dell'ateneo di Logan, hanno fatto questa impressionante scoperta per puro caso; stavano infatti testando nuova strumentazione scientifica, quando si imbattuti per caso nelle microplastiche. “Ho progettato i campionatori e stavo conducendo uno studio pilota quando ho trovato la plastica – ha dichiarato la professoressa Brahney -, è stato un momento meravigliosamente fortuito trovare qualcosa di straordinario e di avere le persone giuste al momento giusto in grado di dare un contributo al progetto con capacità e conoscenze ad aspetti di cui non avevo esperienza”.
La maggior parte delle particelle rilevate dagli studiosi erano microfibre sintetiche legate ai tessuti, mentre il 30 percento era composto da microsfere acriliche derivate probabilmente da rivestimenti, vernici e altri prodotti industriali. Il dato del 4 percento ha letteralmente scioccato gli scienziati, che hanno fatto ripetute misurazioni – in 11 parchi nazionali e aree protette – per essere sicuri di non aver preso un abbaglio. L'aspetto più inquietante della ricerca, durata circa 14 mesi, risiede nel fatto che sono state prese in considerazione solo le microplastiche colorate, perché quelle bianche si confondevano troppo facilmente con le altre. Ciò significa che le tonnellate di plastica che piovono sugli USA occidentali sono molte più di quelle stimate.
La professoressa Brahney e i colleghi hanno determinato che queste microplastiche sono intimamente connesse con i cicli naturali e possono spostarsi addirittura tra un continente e l'altro, trasportate dal vento e da altri agenti. Le fonti non derivano solo dai centri urbani, ma anche dal suolo e dalle acque superficiali, sintomo che ormai fanno praticamente parte dell'ambiente. La ragione è semplice: ogni anno produciamo circa 350 milioni di tonnellate di plastica, 8 milioni delle quali finiscono nei mari e negli oceani di tutto il mondo, dove si disgregano in microplastiche. Queste ultime finiscono nei cicli atmosferici e nella catena alimentare, propagandosi sul pianeta come un virus. Si stima che solo nel Mar Mediterraneo finisce in mare l'equivalente in plastica di 34mila bottigliette, per un totale di 570mila tonnellate annue. Non c'è dunque troppo da stupirsi che migliaia di tonnellate di polimeri plastici ci ricadano in testa. I dettagli della ricerca americana sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica Science.