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OGM: ritorna il dibattito, ma la scienza non deve far paura

Lo scontro tra il ministro dell’Ambiente, Clini, e il ministro dell’Agricoltura, Catania, dimostra che anche il governo dei tecnici non ha le idee chiare su cosa sia sicuro o meno nella ricerca scientifica. Sul caso degli OGM occorre chiarezza.
A cura di Roberto Paura
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Montecitorio - protesta verdi contro il ministro Clini OGM

Si riaccende lo scontro in Italia su uno dei temi più caldi della scienza, insieme al nucleare. Parliamo degli OGM, gli organismi geneticamente modificati, frutto di un’ingegneria genetica che cerca di creare alimenti più resistenti aumentando quindi la produttività. La parola “ingegneria genetica” fa paura, e ancor di più l’idea stessa di un organismo geneticamente modificato. Per questo, la recente apertura del ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, secondo il quale “occorre una seria riflessione, che deve coinvolgere la ricerca e la produzione agricola, sul ruolo dell’ingegneria genetica e di alcune possibili applicazioni degli OGM”, ha scatenato un putiferio. Infatti a prendere posizione contro Clini è stato subito il ministro delle Politiche Agricole, Mario Catania, che – pur nel tono edulcorato dei tecnici – ha chiarito il suo punto di vista: “Non penso sia conforme agli interessi del nostro sistema agroalimentare un’apertura agli OGM. Come ministro ritengo peraltro che gli stessi consumatori e produttori non la vogliano”. Tuttavia, Catania sottolinea che, per quanto la sua posizione sul tema sia “sostanzialmente negativa”, nulla toglie che la ricerca sugli OGM debba proseguire.

Uno spettro si aggira per l'Italia: l'OGM

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Viaggiando per l’Italia non è raro imbattersi in paesi che segnalano di essere “liberi da OGM”, così come spesso si dice che un paese è “denuclearizzato”. Si tratta di solito di prese di posizione politiche di sindaci che cavalcano le paure di massa sulla scienza e non lasciano molto spazio al confronto. Clini, in un’intervista, ha invece voluto spiegare più dettagliatamente le sue ragioni pro-OGM: “Senza l’ingegneria genetica oggi non avremmo alcuni fra i nostri prodotti più tipici. Il grano duro, il riso Carnaroli, il pomodoro San Marzano, il basilico ligure, la vite Nero D’Avola, la cipolla rossa di Tropea, il broccolo romanesco: sono stati ottenuti grazie agli incroci e con la mutagenesi sui semi”. Qui c’è in realtà un fraintendimento. Clini parla degli incroci genetici, non dell’ingegneria genetica. È noto, e chi ricorda Mendel e i suoi esperimenti sui piselli lo sa bene, che fin dai tempi antichi gli agricoltori favoriscono incroci tra esemplari di una stessa specie per produrre prodotti migliori. Prodotti migliori vuol dire, per esempio, più resistenti ai parassiti, o di dimensioni maggiori, più polposi, più fragranti, più facili da coltivare. Tutto ciò viene però realizzato naturalmente, attraverso le tecniche della selezione che erano già note prima che Darwin ne parlasse sistematicamente nel suo L’Origine della Specie.

Gli OGM sono un’altra cosa. Non si aspetta che la natura faccia il suo corso, ma si interviene direttamente nel codice genetico di un vegetale per modificarlo. Sono il frutto di conoscenze più avanzate rispetto a quelle dei tempi di Mendel, perché richiedono una conoscenza dei singoli geni di un alimento e delle tecniche per estrarli e impiantarli. Chi produce OGM lo fa essenzialmente per due scopi: creare prodotti resistenti agli erbicidi e prodotti resistenti a parassiti e insetti. Per farlo si introduce nel codice genetico dell’alimento in questione dei geni provenienti da altri organismi, geni che possiedono un maggiore fattore di resistenza a una malattia o a un parassita. Si creano degli ibridi, che possiedono quindi geni provenienti da altri organismi. Ciò che spaventa è il paragone umano: immaginare che nel nostro DNA vengano impiantati geni di maiali, anche se per renderci resistenti, per esempio, al virus dell’influenza, è un’idea che ci fa ribrezzo.

Prodotto tipico, prodotto transgenico

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Mentre in America sono commercializzati – pur con tutte le etichette del caso – una vastissima serie di alimenti OGM, l’Europa ammette solo tre tipi di alimenti transgenici: la soia, il mais e la colza. Ma la diffidenza europea è in realtà espressione di un’altra questione. Essenzialmente, oggi non abbiamo bisogno di OGM. Abbiamo prodotti tipici e tradizionali che rendono unica la dieta mediterranea, e ne abbiamo relativamente in abbondanza. Certo, spesso quello che mangiamo, anche se non è transgenico, è comunque abbondantemente trattato con prodotti chimici. Questo è un particolare che non va dimenticato. E non va dimenticato che anche i prodotti DOC che troviamo sulle nostre tavole non sono naturali al 100%: “Che ci piaccia o no, tutto ciò che mangiamo è già geneticamente modificato, spesso in maniera radicale”, chiarisce Piergorgio Odifreddi. “A partire dal frumento che usiamo per il pane quotidiano, che è un incrocio artificiale del farro (a sua volta un incrocio) con un egilope, e che ancora qualche secolo fa era alto un metro e mezzo: basta guardare I mietitori di Bruegel, per accorgersene”.

“ Che ci piaccia o no, tutto ciò che mangiamo è già geneticamente modificato, spesso in maniera radicale. ”
Piergiorgio Odifreddi
Il genetista Edoardo Boncinelli, sulla questione dei prodotti tipici, chiarisce un punto importante: “L’Italia eccelle nella produzione e nella commercializzazione del tipico e molti ritengono che ciò sia in contrasto con l’introduzione degli OGM. È esattamente il contrario: il tipico va protetto e difeso più di altre produzioni e potrebbe essere quindi la soluzione finale, almeno per il nostro Paese, la coniugazione del tipico e degli OGM”. Ciò in quanto, per difendere i nostri prodotti tipici da malattie o pesticidi, li si potrebbe renderli immuni grazie all’impianto di geni provenienti da altri organismi. Ma la questione dei cibi transgenici è tanto più importante nei paesi in via di sviluppo, che soffrono la presenza di un’agricoltura non avanzata quanto la nostra e che quindi non rende allo stesso modo. Ciò favorisce l’esplodere di carestie ricorrenti che provocano anche milioni di morti. Favorire l’introduzione di OGM in questi paesi vuol dire salvare potenzialmente milioni di vite. Ma anche in Giappone, per esempio, come ha sottolineato il ministro Clini, gli OGM possono favorire un rapido ritorno alla produzione agricola precedente allo tsunami dell’anno scorso.

La paura della scienza

I pericoli, secondo Boncinelli, sono tutti spauracchi. “In teoria non c’è alcuna possibilità che nuocciano perché non può essere un gene in più o in meno, oltre alle decine di migliaia che questi esseri già contengono, che li rende pericolosi, a meno che non si introduca di proposito un gene che produce una tossina”. Il fatto che in tanti anni non si sia registrato un solo caso di intossicazione alimentare da OGM negli esseri umani dimostra che il rischio è inesistente. “Alcuni d’altra parte invocano una pericolosità per l’ambiente. Certi organismi cioè potrebbero sfuggire al controllo e andare a invadere altri campi o allevamenti”, continua Boncinelli. “Ciò non è impossibile, ma estremamente improbabile, perché nella competizione con gli organismi «naturali», quelli modificati perdono inevitabilmente. Sono infatti più fragili e meno bilanciati. In tanti anni comunque non si è mai osservato niente del genere in nessuna parte del mondo”.

Allora, di cosa aver paura? Della scienza, soprattutto. Che spesso viene vista come nemica della salute e del benessere, dimenticando che è la ricerca scientifica degli ultimi cento anni ad aver aumentato la speranza di vita media nei paesi occidentali da 70 a più di 80 anni. La percentuale di cittadini italiani che sostiene l’uso dei cibi transgenici è crollata da un significato 51% nel 1996 ad appena il 24% nel 2010. Tra le ragioni dei favorevoli, secondo il centro di ricerca Observa, c’è la fiducia nella ricerca scientifica, la possibilità di sfamare le popolazioni del Terzo Mondo e il fatto che alcuni paesi, come gli Stati Uniti, impieghino già da tempo gli OGM senza problemi. I contrari invece sostengono che la ricerca sia spinta dall’interesse economico delle multinazionali, e che non conosciamo con certezza quali sono i rischi. Una percentuale per fortuna irrisoria afferma di non fidarsi degli scienziati. “È chiaro comunque che la paura è la peggiore delle consigliere”, afferma Boncinelli. “Occorre, oggi come ieri, essere razionali e pragmatici”. Un consiglio che va rivolto anche ai nostri governanti.

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